sabato 16 aprile 2016

Il Vangelo della Domenica - 17 aprile 2016


Le mie pecore ascoltano la mia voce e mi seguono. Non dice: mi ob­bediscono. Seguire è molto di più: significa percorrere la stessa strada di Gesù, u­scire dal labirinto del non senso, vivere non come e­secutori di ordini, ma come scopritori di strade. Vuol di­re: fine dell'immobilismo, camminare per nuovi oriz­zonti, nuove terre, nuovi pensieri. Chiamati, noi e tutta la Chiesa, ad allenarci alla sorpresa e alla meravi­glia per cogliere la voce di Dio, che è già più avanti, più in là. E perché ascoltare la sua vo­ce? La risposta di Gesù: per­ché io do loro la vita eterna. Ascolterò la sua voce per­ché, come una madre, Lui mi fa vivere, la voce di Dio è pane per me. Così come «la voce degli uomini è pane per Dio». Per una volta almeno, fer­miamo tutta la nostra at­tenzione su quanto Gesù fa per noi. Lo facciamo così poco. I maestri di quaggiù sono lì a ricordarci doveri, obblighi, comandamenti, a richiamarci all'impegno, al­lo sforzo, all'ubbidienza. Molti cristiani rischiano di scoraggiarsi perché non ce la fanno. Ed io con loro. Allora è bene, è salute dell'a­nima, respirare la forza che nasce da queste parole di Gesù: io do loro la vita eter­na. Vita eterna vuol dire: vi­ta autentica, vita per sem­pre, vita di Dio, vita a pre­scindere. Prima che io dica sì, Lui ha già seminato in me germi di pace, semi di luce che iniziano a germinare, a guidare i disorientati nella vita verso il paese della vita. «Nessuno le strapperà dalla mia mano». La vita eterna è un posto fra le mani di Dio. Siamo passeri che hanno il nido nelle sue mani. E nel­la sua voce. Siamo bambini che si ag­grappano forte a quella ma­no che non ci lascerà cade­re. Come innamorati cerchia­mo quella mano che scalda la solitudine. Come crocefissi ripetiamo: nelle tue mani affido la mia vita.
Dalla certezza che il mio no­me è scritto sul palmo del­la sua mano, dice il profeta, con una immagine dolce, come di ragazzi che si scri­vono sulla mano le cose im­portanti, da non dimenti­care all'esame; da questa vi­gorosa certezza, da non svendere mai, che per Dio io sono indimenticabile, che niente e nessuno mai mi potrà separare e strap­pare via, prende avvio la mia strada nella vita: essere an­ch'io, per quanti sono affi­dati al mio amore e alla mia amicizia, cuore da cui non si strappa, mano da cui non si rapisce.

Il Vangelo della Domenica - 10 aprile 2016

Gli Apostoli sono tornati là dove tutto ha avuto inizio, al loro mestiere di prima, alle parole di sempre: vado a pe­scare, veniamo anche noi; e poi notti di fatica, barche vuote, vol­ti delusi. L'ultima apparizione di Gesù è raccontata nel contesto della nor­malità del quotidiano. Dentro di esso, nel cerchio delle azioni di tutti i giorni anche a noi è dato di incontrare Colui che abita la vita e le persone, non i recinti sacri. Gesù ritorna da coloro che l'han­no abbandonato, e invece di chie­dere loro di inginocchiarsi da­vanti a lui, è lui che si inginocchia davanti al fuoco di brace, come u­na madre che si mette a prepara­re da mangiare per i suoi di casa. È il suo stile: tenerezza, umiltà, custodia. Amici, vi chiamo, non servi. Ed è molto bello che chieda: portate un po' del pesce che avete preso! Gesù, maestro di umanità, usa il linguaggio semplice dell'amore, domande risuonate sulla terra in­finite volte, sotto tutti i cieli, in bocca a tutti gli innamorati che non si stancano di sapere: mi a­mi? Mi vuoi bene? Semplicità estrema di parole che non bastano mai, perché la vita ne ha fame; di domande e rispo­ste che anche un bambino capi­sce perché è quello che si sente dire dalla mamma tutti i giorni. Il linguaggio del sacro diventa il linguaggio delle radici profonde della vita. La vera religione non è mai separata dalla vita. Seguiamo le tre domande, sem­pre uguali, sempre diverse: Simo­ne, mi ami più di tutti? Pietro ri­sponde con un altro verbo, quel­lo più umile dell'amicizia e del­­l'affetto: ti voglio bene. Anche nel­la seconda risposta Pietro man­tiene il profilo basso di chi cono­sce bene il cuore dell'uomo: ti so­no amico. Nella terza domanda succede qualcosa di straordina­rio. Gesù adotta il verbo di Pietro, si abbassa, si avvicina, lo rag­giunge là dov'è: Simone, mi vuoi bene? Dammi affetto, se l'amore è troppo; amicizia, se l'amore ti mette paura. Pietro, sei mio ami­co? E mi basterà, perché il tuo de­siderio di amore è già amore.
Gesù rallenta il passo sul ritmo del nostro, la misura di Pietro diven­ta più importante di sé stesso: l'amore vero mette il tu prima del­l’io.
Pietro sente il pianto salirgli in gola: vede Dio mendicante d'amore, Dio delle briciole, cui basta così poco, e un cuore sincero.

domenica 3 aprile 2016

Il Vangelo della Domenica - 3 aprile 2016

Erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per paura dei Giu­dei. Una comunità chiusa, impaurita, a porte sbarrate; Tommaso no, lui va e vie­ne, è un coraggioso (aveva esortato i suoi compagni: andiamo anche noi a morire con lui!). Lì dentro si sentiva mancare l'aria. Abbiamo visto il Signore, qui, quando tu non c'eri, gli dicono. E lui: se non vedo con i miei occhi non vi credo. Tommaso è un prezioso compagno di viaggio, come tutti quelli, dentro e fuo­ri della chiesa, che vogliono vedere, vo­gliono toccare, con la serietà che meri­ta la fede; tutti quelli che sono esigenti e radicali, e non si accontentano del sentito dire, ma vogliono una fede che si incida nel cuore e nella storia. Che bello se anche nella Chiesa fossimo educati con lo stile di Gesù, che forma­va più alla serietà e all'approfondimen­to, alla libertà e al coraggio, che non al­l'ubbidienza. Poi il momento centrale: l'incontro con il Risorto. Gesù invece di imporsi, si pro­pone, si espone: “Metti qui il tuo dito; tendi la tua mano e mettila nel mio fian­co”. Gesù rispetta la sua fatica e i suoi dubbi; rispetta i tempi di ciascuno e la complessità del vivere. Non si scanda­lizza, si ripropone con le sue ferite a­perte. La risurrezione non ha richiuso i fori dei chiodi, perché la morte di cro­ce non è un semplice incidente da su­perare, è invece qualcosa che deve re­stare per l'eternità, gloria e vanto di Cri­sto, il punto più alto, la rivelazione mas­sima dell'amore di Dio. Nel cuore del cielo sta, per sempre, carne d'uomo fe­rita. Nostro alfabeto d'amore. Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e han­no creduto! Ecco una beatitudine che sento finalmente mia, le altre le ho sem­pre sentite difficili, cose per pochi co­raggiosi, per pochi affamati di immen­so. Finalmente una beatitudine per tutti, per chi fa fatica, per chi cerca a tentoni, per chi non vede, per chi ricomincia.
Beati voi... grazie a tutti quelli che cre­dono senza necessità di segni, anche se hanno mille dubbi, come Tommaso. So­no quelli che se una volta potessero toc­care Gesù da vicino - vedere il volto, toccare il volto - se una volta potranno ve­derlo, ma in noi, anch'essi diranno: Mio Signore e mio Dio!