sabato 16 gennaio 2016

Il Vangelo della Domenica - 17 gennaio 2016

Il mondo è un immenso pianto e Gesù dà avvio alla salvezza partendo da una festa di nozze. Anziché asciugare lacrime, colma le coppe di vino. Sembra qua­si sprecare la sua potenza a servizio di una causa effi­mera, un po' di vino in più, eppure il Vangelo chiama questo il «principe dei se­gni», il capostipite di tutti.
Perché a Cana Gesù vuole trasmettere il principio de­cisivo della relazione che u­nisce Dio e l'umanità. Tra uomo e Dio corre un rap­porto nuziale, con tutta la sua tavolozza di emozioni forti e buone: amore, festa, gioco, dono, eccesso, gioia. Un legame sponsale, non un rapporto giudiziario o peni­tenziale, lega Dio e noi. Ge­sù partecipa con tutti i suoi alla celebrazione, e procla­ma così il suo atto di fede nell'amore tra uomo e don­na, lui crede nell'amore, lo ratifica con il suo primo pro­digio. Perché l'amore umano è una forza dove è custodita la passione per la vita, dove l'altro ha tutta la tua atten­zione, dove la persona viene prima della legge, dove la speranza batte la rassegna­zione. Dove nascono sogni. La Chiesa, come Gesù, do­vrebbe attingere vino dall'a­more degli uomini, custo­dirlo, inebriarsi e offrirlo al­la sete del mondo. Gesù prende l'amore umano e lo fa messaggio, parola di Dio. Con le nozze l'uomo scende al nodo germinale della vi­ta, e Gesù dice: l'incontro con Dio è la tua primavera, fa germogliare vita, porta fio­riture di coraggio.
«E viene a mancare il vino». Il vino, in tutta la Bibbia, è il simbolo dell'amore felice tra uomo e donna, tra uomo e Dio. Felice e sempre minac­ciato. Simbolo della fede e dell'entusiasmo, della crea­tività, della passione che vengono a mancare.
Non hanno più vino, espe­rienza che tutti abbiamo fat­to, quando stanchezza e ri­petizione prendono il so­pravvento. Quando ci assal­gono mille dubbi, quando gli amori sono senza gioia e le case senza festa. Ma ecco il punto di svolta del racconto. Maria, la madre attenta, sa­piente della sapienza del Magnificat (sa che Dio ha sa­ziato gli affamati di vita), indi­ca la strada: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Il femminile capace di unire il dire e il fare! Fate il suo Van­gelo, rendetelo gesto e corpo, sangue e carne. E si riempi­ranno le anfore vuote del cuore, si trasformerà la vita, da vuota a piena, da spenta a felice.
Più Vangelo è uguale a più vita. Più Dio equivale a più io. A lungo abbiamo pensato che al divertimento Dio pre­ferisse il sacrificio, al gioco la gravità, e abbiamo ricoper­to il Vangelo con un velo di tristezza. Invece a Cana ci sorprende un Dio che gode della gioia degli uomini e se ne prende cura. «Dobbiamo trovare Dio precisamente nella nostra vita e nel bene che ci dà. Trovarlo dentro la nostra felicità terrena».

sabato 9 gennaio 2016

Il Vangelo della Domenica - 10 gennaio 2016

Al centro del brano non è posto il bat­tesimo di Gesù, rac­contato quasi come un inciso, ma l'aprirsi del cielo: «Gesù, ricevuto il battesi­mo, stava in preghiera ed ecco il cielo si aprì». Come si apre una breccia nelle mura, come quando si aprono le braccia agli amici, all'amato, ai figli, ai poveri. Il cielo si apre sotto l'urgenza dell'amore di Dio, sotto l'impazienza di Ada­mo, sotto l'assedio dei po­veri e nessuno lo rinchiu­derà più. Guardo spesso il cielo chiu­so sopra la mia città, lo guardo con le sue stelle ap­passite, e cerco un pertugio come quello sul Giordano, un graffio d'azzurro, uno strappo nel grigio, per leg­gere, da là, dalla luce, dalla mia parte alta, tutto ciò che è accaduto e accade nella mia vita. Ma anche l'aprirsi del cielo è secondario: scese su di Lui lo Spirito Santo. Spirito è parola che dice vi­ta, dal primo respiro di Dio che accese la fiamma misteriosa della vita nel peta­lo di argilla che è Adamo, da prima ancora quando «aleggiava sulle acque», co­vando l'origine della vita. Santo significa sostanzialmente di Dio. «Scese lo Spirito Santo» si può quindi tradurre così: «Scese la vita di Dio». Alito che rianima la fiamma smor­ta, respiro profondo dell'es­sere, soffio di primavere. E poi fu una voce: «Tu sei il mio figlio amato». Il brano è come una minia­tura di tutto il Vangelo e ne racconta alcune delle verità più alte. Racconta la Trinità per simboli: una voce, un fi­glio, una colomba; racconta Gesù: il Figlio che si fa fra­tello, che si immerge soli­dale nel fiume dell'uma­nità; racconta l'uomo: un fratello che diventa figlio. E parla di me: il cielo che si apre, lo Spirito e la Voce so­no accaduti, sono scesi an­che sul mio battesimo: vita di Dio in me, dilatazione del cuore, incarnazione che non si arresta, io amato co­me Gesù, Dio che preferi­sce ciascuno, ognuno figlio prediletto. Nella Bibbia "figlio" è un ter­mine tecnico, dal significa­to preciso: figlio è il somigliante al padre, colui che compie le stesse sue azioni, che prolunga nella sua vita la vita del padre. Allora ti prende come un desiderio di fare qualcosa che assomigli a ciò che è detto di Gesù: «Passò nel mondo facendo del bene e guarendo ogni male». Sintesi ultima, essenziale, struggente, bellissima del­la vicenda di Gesù, ma an­che di ognuna delle nostre vite. Passare nel mondo fa­cendo del bene, splenden­do per un istante anche se nessuno guarderà il tuo lu­cente sguardo.

domenica 3 gennaio 2016

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Il Vangelo della Domenica - 3 gennaio 2016


La liturgia propone lo stesso Vangelo del giorno di Natale, perché Natale si conquista lentamente. Lo stesso Vangelo, ma con una differenza: mentre a Natale l’attenzione, e l’emozione, erano rivolte alla discesa di Dio nella carne, nel tempo, nella notte, le letture oggi ci suggeriscono il movimento inverso. Si apre per noi come uno sfondo di eternità, uno sfondamento del tempo verso l’eterno. Ora è la carne che è assunta dalla Parola, il sangue sale verso il cielo, l’uomo verso Dio. «E il Verbo si è fatto carne». Dio ricomincia da Betlemme. Colui che aveva plasmato Adamo con la polvere del suolo, diventa lui stesso argilla di piccolo vaso. Da allora c’è un frammento di Logos in ogni carne, qualcosa di Dio in ogni uomo. C’è santità, almeno incipiente, e luce in ogni vita. E nessuno potrà più dire: qui finisce la terra, qui comincia il cielo, perché ormai terra e cielo si sono abbracciati. Nessuno potrà dire: qui finisce l’uomo, qui comincia Dio, perché creatore e creatura si sono abbracciati e, almeno in quel neonato, uomo e Dio sono una cosa sola. Almeno a Betlemme.  «A quanti l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio» . Cristo nasce perché io nasca. Nasca nuovo e diverso. La sua nascita vuole la mia nascita. Gesù non è venuto a portare un elenco di verità, ma vita da vivere; non ci ha comunicato una teoria religiosa, ma una forza di vita.  «Ha dato il potere» , afferma Giovanni, non la semplice opportunità o l’occasione di diventare figli di Dio, ma il potere, la forza, l’energia, la vitalità per spalancare le porte, per varcare le soglie. Il Verbo come forza in noi. In questa carne Cristo è, in questi dubbi, in questi abbandoni, in questa fatica di credere, in questa gioia di credere. È in noi per dirci: amo la tua solitudine, il tuo cercare, amo le tue lacrime, anche la tua debolezza. Non c’è nulla della tua vita che mi lasci indifferente. Tu mi interessi, con la storia del tuo cuore, con la storia della tua casa. Voglio essere in te come luce e come sole, come strada e come pane, come roccia e come nido.  «A quanti l’hanno accolto» . Dio non si merita, si accoglie. L’uomo diventa ciò che accoglie in sé, ciò che lo abita. Vita vera è essere abitati da Dio. Ecco la profondità ultima del Natale: Dio nell’uomo. «Se appena percepiamo qualcosa del significato oceanico di queste due termini, Dio e uomo, intravediamo il dramma immenso del Natale».