domenica 22 maggio 2016

Il Vangelo della Domenica - 22 maggio 2016

Trinità: un solo Dio in tre persone. Dogma che non capisco, eppure liberante, perché mi assicura che Dio non è in se stesso solitudine, che l'oceano della sua essenza vibra di un infinito movimento d'amore. C'è in Dio reciprocità, scambio, superamento di sé, incontro, abbraccio. L'essenza di Dio è comunione. Il dogma della Trinità è sorgente di sapienza del vivere: se Dio si realizza solo nella comunione, così sarà anche per l'uomo. I dogmi non sono astrazioni ma indicazioni esistenziali. In principio aveva detto: «Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza». L'uomo è creato non solo a immagine di Dio, ma ancor meglio ad immagine della Trinità. Ad immagine e somiglianza quindi della comunione, del legame d'amore. In principio a tutto, per Dio e per me, c'è la relazione. In principio a tutto, qualcosa che mi lega a qualcuno. «Ho ancora molte cose da dirvi, ma ora non potete portarne il peso». Gesù se ne va senza aver detto e risolto tutto. Ha fiducia in noi, ci inserisce in un sistema aperto e non in un sistema chiuso: lo Spirito vi guiderà alla verità tutta intera. La gioia di sapere, dalla bocca di Gesù, che non siamo dei semplici esecutori di ordini, ma " con lo Spirito " inventori di strade, per un lungo corroborante cammino. Che la verità è più grande delle nostre formule. Che nel Vangelo scopri nuovi tesori quanto più lo apri e lo lavori. La verità tutta intera di cui parla Gesù non consiste in formule o concetti più precisi, ma in una sapienza del vivere custodita nella vicenda terrena di Gesù. Una sapienza sulla nascita, la vita, la morte, l'amore, su me e sugli altri, che gli fa dire: «io sono la verità» e, con questo suggeritore meraviglioso, lo Spirito, ci insegna il segreto per una vita autentica: in principio a tutto ciò che esiste c'è un legame d'amore. L'uomo è relazione oppure non è. Allora capisco perché la solitudine mi pesa tanto e mi fa paura: perché è contro la mia natura. Allora capisco perché quando sono con chi mi vuole bene, sto così bene: perché realizzo la mia vocazione. La festa della Trinità è come uno specchio: del mio cuore profondo, e del senso ultimo dell'universo. Davanti alla Trinità mi sento piccolo e tuttavia abbracciato dal mistero.

domenica 15 maggio 2016

Il Vangelo della Domenica - 15 maggio 2016

Tre verbi pieni di bel­lissimi significati profetici: «rimanere, insegnare e ri­cordare». Che rimanga con voi, per sempre. Lo Spirito è già qui, ha riempito la casa. Se anche io non sono con Lui, Lui rimane con me. Se anche lo dimenticassi, Lui non mi dimenticherà. Nes­suno è solo, in nessuno dei giorni. Vi insegnerà ogni cosa: lo Spi­rito ama insegnare, accom­pagnare oltre verso paesag­gi inesplorati, dentro pen­sieri e conoscenze nuovi; so­spingere avanti e insieme: con lui la verità diventa co­munitaria, non individuale. 
Vi ricorderà tutto: vi riporterà al cuore gesti e parole di Ge­sù, di quando passava e gua­riva la vita e diceva parole di cui non si vedeva il fondo. 
Pentecoste è una festa rivo­luzionaria di cui non abbia­mo ancora colto appieno la portata. Il racconto degli At­ti degli Apostoli lo sottolinea con annotazioni precise: venne dal cielo d'improvviso un vento impetuoso e riempì tutta la casa. La casa dove gli amici erano insieme. Lo Spirito non si la­scia sequestrare in luoghi particolari che noi diciamo riservati alle cose del sacro. Qui sacra diventa la casa. La mia, la tua, tutte le case so­no ora il cielo di Dio. Venne d'improvviso, e i di­scepoli sono colti di sorpre­sa, non erano preparati, non era programmato. Lo Spiri­to non sopporta schemi, è un vento di libertà, fonte di li­bere vite. Apparvero lingue di fuoco che si posavano su ciascuno. Su ciascuno, su ciascuno di noi. Nessuno esclu­so, nessuna distinzione da fare. Tocca ogni vita, è crea­tore e vuole creatori; è fuoco e vuole per la sua Chiesa co­scienze accese e non intor­pidite o acquiescenti. Lo Spirito porta in dono un sapore di totalità, di pienez­za, di completezza che Gesù sottolinea per tre volte: inse­gnerà ogni cosa, ricorderà tutto, rimarrà per sempre. E la liturgia fa eco: del tuo Spi­rito Signore è piena la terra. In Lui l'uomo, e il cosmo, ri­trovano la loro pienezza: a­bitare il futuro e la libertà, a­bitare il Vento e il Fuoco, co­me nomadi d'Amore.

sabato 7 maggio 2016

Il Vangelo della Domenica - 8 maggio 2016


Li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benedi­ceva, si staccò da loro. Una lunga benedizione sospesa in eterno tra cielo e terra è l'ultima immagine di Gesù. Testimone che la maledi­zione non appartiene a Dio. Io non sono degno, eppure mi benedice. Dio dice be­ne di me! Io gli piaccio! Co­sì come sono, gli piaccio! Dice bene di me e mi au­gura il bene: nelle mie a­marezze e nelle mie povertà io sono benedetto, in tutti i miei dubbi benedetto, nel­le mie fatiche benedetto...Gesù lascia un dono e un compito: predicate la con­versione e il perdono. Con­versione: indica un movimento, un dinamismo, l'u­scire dalle paludi del cuore inventandosi un balzo. Si­gnifica il coraggio di anda­re controcorrente, contro la logica del mondo dove vin­cono sempre i più furbi i più ricchi i più violenti. Co­me fanno le beatitudini, conversione che ci mette in equilibrio, in bilico tra ter­ra e cielo. Annunciare il perdono: la freschezza di un cuore ri­fatto nuovo come nella pri­mavera della vita. La possibilità, per dono di Dio, di ri­partire sempre, di ricomin­ciare, di non arrendersi mai. Io so poche cose di Dio, ma una su tutte, e mi basta: che la sua misericor­dia è infinita! Dio è una pri­mavera infinita. E la nostra vita, per suo dono, un al­beggiare continuo.La conclusione del raccon­to è a sorpresa: i discepoli tornarono a Gerusalemme con grande gioia. Doveva­no essere tristi piuttosto, fi­niva la presenza, se ne an­dava il loro amore, il loro a­mico, il loro maestro.Invece no. E questo perché fino all'ultimo giorno Lui ha le mani che grondano doni. Perché non se ne va altrove, ma entra nel profondo di tutte le vite, per trasformarle. È la gioia di sapere che il no­stro amare non è inutile, ma sarà raccolto goccia a goccia e vissuto per sem­pre. È la gioia di vedere in Gesù che l'uomo non fini­sce con il suo corpo, che la nostra vita è più forte delle sue ferite, che la carne è fat­ta cielo. Che non esiste nel mondo solo la forza di gravità che pesa verso il basso, ma an­che una forza di gravità che punta verso l'alto, quella che ci fa eretti, che mette verticali la fiamma e gli al­beri e i fiori, che solleva ma­ree e vulcani. Ed è come u­na nostalgia di cielo. Cristo è asceso nell'intimo di ogni creatura, forza ascensiona­le verso più luminosa vita.

lunedì 2 maggio 2016

Il Vangelo della Domenica - 1 maggio 2016

Se uno mi ama, osserverà la mia parola. Afferma­zione così importante da essere ribadita subito al negativo: chi non mi ama non osserva le mie parole, non rie­sce, non ce la può fare, non da solo.Una limpida constatazione: solo se ami il Signore, allora e solo allora la sua Parola, il tuo desiderio e la tua volontà co­minciano a coincidere. Come si fa ad amare il Signore Gesù? L'amore verso di lui è un'emozione, un gesto, molti ge­sti di carità, molte preghiere o sacrifici? No. Amare comincia con una resa, con il lasciarsi amare. Dio non si merita, si accoglie.Proprio come continua il Van­gelo oggi: e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Noi siamo il cielo di Dio, abitati da Dio intero, Padre Fi­glio e Spirito Santo. Un cielo trinitario è dentro di noi. Ci hanno spesso insegnato che l'incontro con il Signore era il premio per le nostre buone a­zioni. Il Vangelo però dice al­tro: se, come Zaccheo, ti lasci incontrare dal Signore, allora sarà lui a trasformarti in tutte le tue azioni.Simone Weil usa questa deli­cata metafora: Le amiche del­la sposa non conoscono i se­greti della camera nuziale, ma quando vedono l'amica diver­sa, gloriosa di vita nuova, con il grembo che s'inarca come u­na vela, allora capiscono che a trasformarla è stato l'incontro d'amore. Ci è rivolta qui una delle parole più liberanti di Gesù: il centro della fede non è ciò che io faccio per Dio, ma ciò che Dio fa per me. Al cen­tro non stanno le mie azioni, buone o cattive, ma quelle di Dio, il Totalmente Altro che viene e mi rende altro.Il primo posto nel Vangelo non spetta alla morale, ma alla fe­de, alla relazione affettuosa con Dio, allo stringersi a Lui come un bambino si stringe al petto della madre e non la vuol lasciare, perché per lui è vita.Lo Spirito vi insegnerà ogni co­sa e vi ricorderà tutto quello che vi ho detto. Una affermazione colma di bellissimi significati profetici. Due verbi: Insegna­re e Ricordare. Sono i due poli entro cui soffia lo Spirito: la memoria cordiale dei grandi gesti di Gesù e l'apprendi­mento di nuove sillabe divine; le parole dette «in quei giorni» e le nuove conquiste della mente e dell'anima che lo Spi­rito induce. Colui che in prin­cipio covava le grandi acque e si librava sugli abissi, continua ancora a covare le menti e a li­brarsi, creatore, sugli abissi del cuore.

Il Vangelo della Domenica - 24 aprile 2016


Vi do un comanda­mento nuovo, che vi amiate gli uni gli al­tri.
Sì, ma di quale amore? Noi confondiamo spesso l'amore con un'emo­zione o un'elemosina, con un gesto di solidarietà o un momento di condivisione. Amare sovrasta tutto questo, perché contiene il brivido e­mozionante della scoperta dell'altro, che ti appare non più come un oggetto ma co­me un evento, come colui che ti dà il gusto del vivere, che spalanca sogni, che ha la forza dolce delle nascite, che ti fa nascere, con il me­glio di te. Per amare devo guardare u­na persona con gli occhi di Dio, quando adotto il suo sguardo luminoso divento capace di scoprirne tutta la bellezza e grandezza e uni­cità. E da questo si sprigiona fervore, meraviglia, incanto del vivere. Io vado dall'altro come ad una fonte, e mi dis­seta. Allora lo posso amare, e nell'amore l'altro diventa il mio maestro, colui che mi fa camminare per nuovi sen­tieri. Allo stesso modo anche i due sposi devono amarsi come due maestri, ciascuno maestro dell'altro, ciascuno messo in cammino verso o­rizzonti più grandi. Lasciar­si abitare dalle ricchezze del­­l'altro, e la vita diventa im­mensamente più felice e li­bera. Allo stesso modo an­che il povero che incontro o lo straniero che bussa alla mia porta li posso guardare come fossero i «nostri si­gnori», e imparare quindi a da­re come faceva Gesù: non come un ricco ma come un povero che riceve, come un mendicante d'amore. E pen­sare davanti al povero: sono io il povero, fatto ricco di te, dei tuoi occhi accesi, della tua storia, del tuo coraggio. Vi do un comandamento nuovo. Dove sta la novità? Già nel­l'Antico Testamento era scritto ama Dio con tutto il cuore, ama il prossimo tuo come te stesso. La novità del comando sta nella parola successiva: Come io ho a­mato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Non dice quanto vi ho ama­to, impossibile per noi la sua misura, ma come Gesù, con il suo stile unico, con la sua eleganza gentile, con i capo­volgimenti che ha portato, con la sua creatività: ha fat­to cose che nessuno aveva fatto mai. I cristiani non so­no quelli che amano ma quelli che ama­no come Gesù: se io vi ho la­vato i piedi così fate anche voi, fatelo a partire dai più stanchi, dai più piccoli, i vo­stri signori...
Come Lui, che non solo è a­more, ma esclusivamente a­more.