sabato 28 giugno 2014

Nel nome del Signore andiamo avanti!

L’omelia che il parroco ha tenuto durante la Messa solenne in occasione della chiusura dell’anno pastorale 2013 - 2014.

Siamo qui raccolti attorno all’altare per celebrare l’amore del Signore ma anche per chiudere l’anno pastorale. Lo chiudiamo come parrocchia, ma anche come Caritas parrocchiale, come oratorio e come attività sportiva.

Chiudere un anno pastorale che cosa vuol dire? Vuol dire che andiamo in ferie, che chiudiamo per fallimento, per mancanza di lavoro? No, e poi dico ancora no, in modo assoluto.
E’ vero che i tempi passano, le situazioni si evolvono, e oggi non siamo più quelli di ieri. La comunità parrocchiale non chiude per ferie. La Caritas parrocchiale nemmeno, tanto meno l’oratorio e così pure la nostra attività sportiva.
E allora perché siamo qui così solennemente raccolti? Chiudiamo o non chiudiamo?
Con la fede che portiamo nel cuore, per l’amore che abbiamo per questa nostra comunità parrocchiale, per la passione che nutriamo per tutte le nostre attività pastorali: caritative, oratoriane e sportive siamo qui per chiudere e per aprire - di nuovo e subito - un nuovo cammino pastorale.
Il nostro primo grazie va al Signore che sempre ci aiuta e poi subito anche a chi ha lavorato per la parrocchia, per la Caritas, per l’oratorio e per l’attività sportiva.
Quante cose belle ci ha dato di fare il Signore in questo anno pastorale.
Per quanto riguarda la parrocchia: abbiamo continuato a mettere sempre più il Signore e la sua Parola al primo posto. La generosità dei nostri volontari è andata avanti in tutti gli ambiti e si è spesa disinteressatamente. Pur constatando che gli anni passano anche per loro, continuano ad essere pronti per tutte le necessità della comunità. Il mese di maggio da poco concluso è stato più di ogni altro anno molto partecipato. Ha fatto vedere a tutto il quartiere che la nostra parrocchia è viva e vuole raggiungere tutti.
Per la nostra Caritas: la provvidenza del Signore e la generosità dei sanfereolini l’hanno sostenuta in diversi modi: ha continuato sempre a servire i poveri, a dare aiuto scolastico ai ragazzi, ha continuato a ricevere aiuti per chi versava in particolari difficoltà. Sta compiendo veramente la sua missione: educare e formare alla carità.
Per l’oratorio: quest’anno abbiamo avuto la gioia di vedere dei nostri diciottenni fare la loro solenne professione di fede davanti al Vescovo. Sta crescendo un bel gruppo di adolescenti che poi si metteranno a servire nel Grest. Vediamo inoltre che alcuni papà vengono a giocare con i loro bambini in oratorio. E così fanno imparare ai loro figli ad amare e a frequentare l’oratorio. Siamo più che mai convinti che non basta portarli alla nostra sportiva: questa con gli anni passa nella vita dei ragazzi, ma non l’oratorio.
Per l’attività sportiva: ci sono state delle vittorie, è vero. Questo ci fa piacere. Per noi la gioia e la soddisfazione più grande è che una nostra squadra, la squadra di calcio degli Juniores, ha vinto quest’anno la Coppa Disciplina. E questo per noi è il massimo.
Nel ringraziare di tutto questo il Signore, noi gli siamo più che mai riconoscenti perché ha continuato a sostenerci con il suo amore, a darci la forza per andare avanti e per fare le scelte giuste sia pastorali, sia caritative che oratoriane e sportive.
Concludendo questo aspetto del ringraziamento vi confesso, carissimi fedeli, che al termine di questo anno pastorale sono più che mai consapevole che il Signore ci ha aiutato. Quest’anno, e soprattutto in questi ultimi tempi, ci ha aiutato moltissimo a compiere delle scelte giuste anche se non sono state comprese.
E allora con tutti voi gli dico: grazie Signore, grazie di cuore, grazie per il Tuo aiuto che non viene mai meno.
Dopo tutto questo qualcuno potrebbe allora dire che siamo una parrocchia perfetta. No. Non siamo una parrocchia perfetta. La perfezione è solo del Signore. Noi cerchiamo di fare qualcosa cercando di seguire la sua volontà. Di mancanze ne abbiamo tante, di povertà ne abbiamo moltissime e queste si possono vedere a tutti i livelli incominciando da me vostro parroco.
Carissimi ce ne sono state tante. Sono conti che solo il parroco può conoscere.

  • A livello parrocchiale: sperimentiamo, con viva sofferenza, la grande diminuzione delle celebrazioni dei matrimoni davanti al Signore. Il frantumarsi delle famiglie. La fatica di portare avanti una pastorale familiare e soprattutto quella di far conoscere il Signore con una appropriata catechesi per tutte le età.
  • A livello di Caritas parrocchiale: non poter aiutare tutti coloro che chiedono aiuto. La difficoltà di capire chi ha vere necessità. Non essere noi per primi pieni di carità, di comprensione, di amorevolezza nei confronti di chi ci chiede qualcosa o anche solo ci accosta per parlarci.
  • A livello di oratorio: la poca collaborazione dei genitori, la difficoltà di trasmettere e di far vivere la passione per l’oratorio nel modo giusto, l’incapacità di educare e formare le nuove generazioni ai veri valori della vita.
  • A livello sportivo: la difficoltà di far capire ai genitori che noi siamo per un certo tipo di sport, cioè quello che forma la persona, che si armonizza con altre attività formative, che noi non lo facciamo prevalentemente per sfornare dei campioni, ma soprattutto per educare i nostri ragazzi e i nostri adolescenti alla vera vita umana e cristiana. 

Carissimi, queste sono soltanto alcune delle numerose difficoltà che la nostra parrocchia, la Caritas, l’oratorio e l’attività sportiva hanno affrontato quest’anno. Sappiamo che ne avremo altre. Non ci scoraggiamo. 
Anche qui ci aggrappiamo al Signore. Lui è infatti la nostra forza e la nostra speranza. Ogni giorno facciamo allora nostre alcune sue parole, alcuni suoi inviti. Lui ha detto un giorno e sempre ci ripete: “Nel mondo avrete tribolazioni, coraggio, io ho vinto il mondo”. Carissimi, sono così convinto di questo invito, che da 35 anni lo leggo ogni giorno perché l’ho voluto scritto a grandi caratteri su un telo appeso nel mio studio. Con lui noi vinciamo sempre. Dice ancora a me e a voi a conclusione delle Beatitudini: “Guai a voi se tutti dicessero bene di voi, segno che non mi seguite”. Quindi noi sappiamo che non è la notorietà che ci fa grandi, non è l’andare sui giornali ciò che conta, non sono gli applausi, non sono le mode della società che ci realizzano, ma è il vivere il Vangelo delle Beatitudini, è il generare dei santi il nostro scopo. E alle parole di Gesù fa seguito S. Paolo che dice: “E’ necessario passare attraverso numerose tribolazioni per entrate nel regno di Dio”. Le difficoltà fanno parte di questa vita e noi le vogliamo sopportare con fede e serenamente per entrare e aiutare tutti ad entrare in paradiso.
E andremo avanti serenamente e con tanta fiducia. Chiudiamo un anno e apriamo subito una nuova stagione sia come parrocchia, sia come Caritas, che come oratorio e come sportiva.
E allora ripeto a voi e voi tutti ripetetelo a me quel meraviglioso invito del Signore che si legge nel Vangelo di Giovanni e che ho già detto e che io leggo ogni giorno da numerosi anni: “Coraggio, io ho vinto il mondo!”.

domenica 15 giugno 2014

Eucarestia è incontro

Istituendo l’Eucarestia nell’ultima cena, Gesù colloca il dono del proprio corpo e del proprio sangue, cioè sé stesso (poiché il corpo, nel linguaggio biblico, vale per persona ed il sangue vale per quanto vi è di più intimo nella persona) nella prospettiva della “nuova Alleanza”.
Alleanza o patto, nella storia biblica, stanno ad indicare quel particolare rapporto tra Dio e l’uomo che, col passare del tempo, si rischiara sempre di più, colorandosi delle tonalità più vive e più tenere che ci è dato di cogliere nei rapporti umani. Dio stesso, parlando agli uomini, va alla ricerca dei termini più affettuosi, delle analogie più persuasive, soprattutto in immagini di amore.
Nel libro del profeta Osea, ad esempio, troviamo queste espressioni: “Quando Israele era fanciullo, io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio... Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore, ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare... “(Osea 11, 1 ss.).
In Isaia troviamo:
“Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai” (Is. 49,15). E, più avanti, troviamo: “... perché il Signore troverà in te la sua delizia e la tua terra avrà uno sposo. Sì, come un giovane sposa una vergine, così ti sposeranno i tuoi figli; come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te.”(Is. 62,5) 
Queste immagini tratte da quanto vi è di più vivo ed intimo nei rapporti umani, non sono che semplici analogie, incapaci di esprimere la ben superiore realtà dell’alleanza di Dio con noi. Essa è più di un’amicizia, di un fidanzamento, di un matrimonio! Dio è capace di valicare i confini dei più intimi rapporti umani e di stabilire con noi, suoi figli, rapporti superiori dei matrimoni più riusciti e più felici.
Ebbene, di questa intimità, l’Eucarestia è “segno sacro”. Il fanciullo che si accosta alla prima Comunione può intuire che Gesù ci ama fino a farsi nostro cibo spirituale, rimane però l’insondabile mistero dell’unione dello spirito dell’uomo con lo Spirito di Dio.
“Prendete e mangiate, questo è il mio corpo. Prendete e bevete, questo è il mio sangue” (Mt. 26,26-27): il simbolismo parla chiaro: pane mangiato e vino bevuto, Cristo interiorizzato. Dio, in Gesù, entra nel suo tempio umano (il nostro corpo) già consacrato nel Battesimo, entra nel santuario della sua creatura e si unisce a quanto abbiamo di più intimo: il nostro spirito, di cui il corpo è strumento. Anche il corpo di Gesù è strumento del suo Spirito, lo Spirito Santo che il Figlio ha in comune con il Padre.
Il simbolismo del sangue esprime ancora meglio l’intimità “nel sangue - dicevano gli ebrei -c’è l’anima!” Il dono del sangue di Cristo è un segno evidente del dono di quanto vi è di più intimo in Gesù: la sua anima, il suo Spirito. L’interiorizzazione del segno (pane e vino) viene indicata nell’unione intima nostra con la persona di Gesù e con quanto gli è di più intimo: lo Spirito del Figlio e del Padre. Si avvera cosi l’affermazione di Gesù: “Se uno mi ama (amore unitivo), osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”. (Gv. 14,23)
Il patto di amore tra Dio e noi, trova nella Comunione il compimento perfetto: Dio si unisce alla sua creatura in un modo che è possibile solo a Lui. La comunione eucaristica rinsalda la consacrazione iniziale che abbiamo avuto nel Battesimo ed induce nel nostro essere una estrema esigenza di santità. S. Paolo ce lo ricorda molto bene: “... Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito. State lontani dall’impurità! Qualsiasi peccato l’uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dà all’impurità, pecca contro il proprio corpo. Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi? Lo avete ricevuto da Dio e voi non appartenete a voi stessi. Infatti siete stati comprati a caro prezzo (passione e morte di Gesù!): glorificate dunque Dio nel vostro corpo!” (1a Cor. 6,17-20). (n.b.: quando si parla o si scrive di sessualità, dimenticando queste parole di S. Paolo, si rischia di cadere in un moralismo più o meno lassista destituito dal suo radicale fondamento: la santità dell’anima e del corpo è soprattutto esigenza e frutto della nostra Comunione, del nostro essere uno con Cristo Eucaristia.) 
Ma perchè Dio vuole unirsi cosi strettamente a noi?
Risponde la Chiesa nella costituzione dogmatica del Concilio Ecumenico Vaticano 2°: “La partecipazione al corpo ed al sangue di Cristo non fa che trasformarci in Colui che prendiamo”(Lumen Gentium n.26).
Questa trasformazione viene chiamata dalla fede: “mistero pasquale” perchè è resa possibile in forza del “passaggio” (pasqua) di Cristo dalla condizione mortale alla condizione gloriosa di “risorto”.
Questa nostra trasformazione entra nelle promesse legate all’istituzione dell’Eucaristia, infatti Gesù afferma: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, dimora in me ed io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me ed io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me, vivrà per me” (Gv. 6,56). 
Ebbene, questo “vivere in Cristo” viene da S. Paolo attribuito alla progressiva trasformazione interiore che dovrebbe essere effettuata dall’Eucaristia: “passare da un modo di sentire umano, agli stessi sentimenti che furono di Gesù”. 
Ecco, infatti, le sue parole: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini.” (ai Filippesi 2,5-7).
In forza della vita nuova che ci inserisce in Cristo, come il tralcio alla vite, chi si nutre in modo degno del corpo e del sangue di Cristo, si avvia necessariamente verso l’ultima trasformazione del proprio corpo mortale in un corpo spirituale, lasciandosi guidare dallo spirito di Dio che, dopo aver risuscitato Cristo dai morti, risusciterà anche noi. Anche a questo proposito, S. Paolo è molto chiaro:”...E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti, darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi” (ai Romani 8,11). (Pensieri tratti dal libro: Vittorio De Bernardi S.J. “Per me, vivere è Cristo” - Ed. Lampade Viventi) 
Ora si capiscono molto bene quelle parole di Gesù: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo ed il mio sangue è vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me ed io in lui...”. Si comprende anche l’affermazione di S. Paolo: “Vivo io, ma non sono io, perché veramente vive in me Cristo! …”
Se la particola consacrata che riceviamo nella S. Comunione deve produrre questi effetti (vivere la vita di Gesù nei vari momenti e circostanze attuali) allora dobbiamo riconoscere che esige un po’ più di preparazione e di ringraziamento. La scelta che Lui ha fatto (pane e vino) manifesta chiaramente il suo desiderio di essere da noi ricevuto il più spesso possibile, ma non dimentichiamo che Lui è una persona, è un amico, e quindi dobbiamo anche lasciarlo parlare un po’ e noi stare in silenzio per ascoltarlo e, se si ha tempo, dobbiamo fermarci un po’ anche dopo la S. Messa.

Alla conclusione dell'anno pastorale


Tra qualche giorno concluderemo come parrocchia un altro anno pastorale. Gli anni passano. La Chiesa resta. Gli uomini e le donne passano, ma la comunità parrocchiale resta e continuerà il suo cammino in attesa dell’arrivo del Signore.

E’ GIUSTO ALLORA….
Concludendo un nuovo anno pastorale mi sembra giusto che il parroco si esprima sia sul lavoro pastorale fatto, sia sulla vita cristiana vissuta, ma anche si esprima sui diversi problemi che si trascinano, sulle difficoltà vissute, come pure sulle speranze che animano e sostengono la comunità parrocchiale.
Nel manifestarvi tutto questo, sono mosso soltanto da un grande amore per la comunità, dal desiderio che sia sempre più viva e secondo il cuore del suo Signore. Non ci inorgogliamo per il bene fatto, non nutriamo nessuna amarezza o delusione. Abbiamo fatto quanto ci sembrava giusto fare. Volendo essere sincero dico anche che non temo nessun giudizio da parte degli uomini. Dico questo non per superbia. So di essere un povero servo del Signore, consapevole che è Lui che ha fatto e sta facendo meraviglie. Infatti Dio solo sa che tutto abbiamo cercato di fare per la sua gloria, per il bene delle anime, cercando in tutti i modi di tener viva la memoria di Gesù Cristo qui nel quartiere che amiamo e cerchiamo di servire con passione e amore fino a quando nella sua bontà vorrà. 

IL LAVORO PASTORALE
Abbiamo cercato di portare sia i singoli fedeli che la stessa comunità parrocchiale a scoprire il grande dono dell’eucarestia. Abbiamo ancora qualche mese prima di concluderlo, ma i frutti sembrano intravedersi. E’ vero che sono spirituali e quindi non si dovrebbero vedere. Il Signore però ci ha dato e sta dandoci occhi e situazioni che ci dicono qualcosa. Vediamo infatti che alcune persone, anche uomini, sostano qualche momento, spesso anche abbondante, davanti al tabernacolo. I fogli messi per la preghiera e l’adorazione nelle vicinanze della cappella del Santissimo sono usati e portati anche a casa. Le serate di evangelizzazione, vissute durante il mese di maggio, sono riuscite molto bene. Appena terminato il mese di Maria riprenderemo le nostre adorazioni settimanali che vedono sempre diversi fedeli sostare davanti a Gesù solennemente esposto. Di questo ringraziamo il Signore. L’eucarestia è infatti il punto focale della vita della Chiesa, è la sua forza. Celebrandola e soprattutto vivendola noi siamo trasformati in Cristo. Diventiamo a nostra volta un pezzo “di eucarestia” per i fratelli. 

LA VITA CRISTIANA
Non abbiamo il termometro per misurarla. Solo il Signore conosce le vittorie e le sconfitte nella vita spirituale, chi si avvicina e chi si allontana dalla pratica cristiana e dalla stessa comunità parrocchiale, se la Chiesa va avanti, se la fede in Cristo continua ad animare e sostenere la vita degli uomini e delle donne anche di oggi. Ancora, se i sacramenti continuano più o meno ad essere ricevuti, oggi forse con maggior convinzione di una volta, se la pratica della carità va avanti nonostante la crisi, è segno che la mano del Signore continua la sua opera di evangelizzazione diretta nel cuore e nella vita degli uomini del 2000. E noi vediamo tutto questo. Pensiamo alla partecipazione al mese di maggio. E’ un’esperienza più che positiva, di vera evangelizzazione. I sacramenti e la partecipazione alla Messa sono vivi. Da un po’ di tempo si vedono tra le panche anche alcuni uomini. E’ vero sono in pensione e quindi possono. Ma se vengono qualche volta durante la settimana, è segno che il Signore sta lavorando nei loro cuori. E la carità? Il cestone per i poveri è sempre disponibile ad accogliere. Forse qualcuno dirà che è sempre vuoto. Non è vero. Appena ci accorgiamo che c’è un dono, un sacchetto, lo ritiriamo per sicurezza. E così “la chiave per il paradiso” è sempre a disposizione. Ci auguriamo che il desiderio di una seria vita cristiana cresca sempre più, coinvolga maggiormente più persone e diventi anche sempre più significativo. E’ la nostra vera vita. Siamo fatti per questa.

I PROBLEMI 
Tutto quanto è stato scritto sopra non è e non vuole essere un’esaltazione orgogliosa del bene e delle meraviglie che il Signore va realizzando nella nostra comunità parrocchiale. Noi siamo dei servi e basta. Da parte nostra ci sono invece diversi problemi e particolari difficoltà. Non li nascondiamo, sono nostri e soltanto nostri. Nascono dal nostro carattere più o meno felice, dalle nostre convinzioni più o meno evangeliche, dal nostro temperamento più o meno focoso o apprensivo. Ma nascono anche dalla nostra poca fede e generosità apostolica. Se almeno questa volta li guardiamo e vi ragioniamo sopra, è per volerli superare e per diventare sempre più vera comunità del Signore.
Una difficoltà che vediamo e sentiamo pesare sul cuore è la scarsa partecipazione della nostra gioventù alla vita cristiana. Un nostro parrocchiano mi diceva infatti: “Vede, al mese di maggio siamo in tanti, ma buona parte siamo anziani; ci sono dei coniugi abbastanza maturi, ma le giovani famiglie con i loro bambini? Nemmeno una sera. Gli adulti ancora in età lavorativa, dove sono? Potrebbero venire almeno una sera alla settimana!” E aggiungeva: “Forse tra qualche anno, se si va avanti così, non ci sarà più il mese di maggio nei cortili”. Io dico: “Lasciamo fare al Signore, ci penserà lui. E’ cosa sua” 
Se poi la nostra osservazione va ai giovani che si sposano o meglio che non si sposano più in Chiesa, il problema diventa ancora più cocente. Si pensi. Nel 2000 abbiamo celebrato in parrocchia 30 matrimoni. In questo anno 2014 sono iscritti per sposarsi nella nostra parrocchia soltanto due coppie. Oggi è di moda la convivenza anche tra cristiani fino a ieri praticanti. Che cosa possiamo fare? Io penso ai bambini che nasceranno in queste convivenze e non vedranno mai i loro genitori accostarsi al Signore. Non so se il prossimo sinodo della Chiesa Cattolica sulla famiglia, che si terrà ad ottobre, si pronuncerà diversamente dallo stile che per secoli ha caratterizzato la vita delle coppie cristiane. Staremo a vedere. Per ora è un grande problema e una profonda sofferenza per i pastori delle comunità parrocchiali. 
Ho presentato solo due problemi di carattere pastorale. Sono quelli che maggiormente toccano il cuore di un parroco. Gli altri li lasciamo dentro il suo cuore perché li presenti al Signore.

LE DIFFICOLTA’
Ne sento particolarmente una. Si tratta della difficoltà che un prete vive per quanto riguarda la trasmissione delle verità del Vangelo. Siamo e dobbiamo essere tutti convinti che se non capiremo il grande dono del Vangelo e la vita cristiana che propone, noi non saremo mai dei veri cristiani e quindi non realizzeremo pienamente la nostra vita.
Come è difficile per un genitore farsi capire dai propri figli, così oggi in modo particolare avviene per quanto riguarda la trasmissione della fede. Il Sacerdote crede, è convinto, ha dato e sta dando la sua vita alla causa del Signore, ma non riesce sempre a farsi capire, a convincere, a trascinare sulla strada della vita cristiana. A noi sacerdoti, che viviamo con voi e per voi, sembra di lasciarvi un segno. Speriamo che il tempo e la grazia del Signore compiano ciò che noi ora desideriamo grandemente per voi.
C’è poi la difficoltà di mandare avanti tutta “la baracca”. Quanta pazienza! Il campanello della porta della casa parrocchiale non ha soste. Non sai mai chi viene. Oggi poi con questa crisi molto spesso suona perché c’è qualcuno che chiede aiuto. E qui la pazienza non deve venir meno, ma anche si deve leggere se la necessità esposta è vera o no. La nostra parrocchia ha un grande dono: un folto numero di volontari. Ringrazio il Signore che ci sono. Per loro prego ogni giorno sia per la loro salute, sia perché crescano di numero, sia poi anche perché si vogliano bene e lavorino insieme per la parrocchia. Ma anche qui pazienza! C’è poi la fatica del reperire i fondi per le infinite spese. Sono profondamente convinto che sono pochissimi coloro che conoscono le spese che la nostra parrocchia deve affrontare ogni mese. Non ci scoraggiamo. La provvidenza ci ha aiutato in questi anni. Noi speriamo che non verrà meno anche nei prossimi anni. E in attesa che la provvidenza ci venga sempre in aiuto, nutriamo anche qui pazienza.

LE SPERANZE
Sono tante e tutte nascono dall’amore al Signore e dal bene che vedo in tutti voi. E’ infatti il Signore che sostiene lo sguardo di un parroco che guarda avanti verso la meta verso la quale vuole condurre i suoi figli. Non avessi questa speranza, avrei già messo i remi in barca e me ne sarei andato altrove. Ma il Signore che non viene mai meno alle sue promesse, anche se non realizza sempre le nostre aspettative, anima e sostiene anche le fatiche ormai pesanti del vostro parroco. 
La speranza più viva che nutro nel cuore è di vedere qualificarsi sempre più la vita spirituale della comunità parrocchiale. Desidero infatti una comunità viva: che ascolti volentieri la Parola del Signore, che celebri bene e con fede l’amore del Signore sia durante la Messa che amministrando i sacramenti, che viva e promuova generosamente la carità, che metta volentieri e al primo posto i poveri e per loro sappia spendersi senza misura. In una parola: sogno una comunità che, al di là delle sue povertà umane che avrà sempre, sia qui nel quartiere un segno vivo, credibile e amabile del Signore, con una carica di vita spirituale capace di affascinare chiunque cerchi il senso vero ed autentico della vita.

E DOPO TUTTO: GRAZIE
Dopo questa lunga carrellata sulla vita della nostra comunità parrocchiale, ma che non vuole essere in nessun modo una specie di testamento, dico al Signore grazie per il bene che ha compiuto nel cuore di tanti fedeli che si sono aperti al suo amore e lo hanno accolto generosamente. Dico grazie anche ai volontari che anche in questo anno pastorale hanno lavorato in tanti ambiti della parrocchia. Non sto ad elencarli perché sono numerosi. Dico grazie a chi ci ha aiutato anche con i contributi finanziari fatti sempre nel nascondimento. Dico grazie agli anziani e agli ammalati che con le loro preghiere e l’offerta delle loro sofferenze ottengono grandi benedizioni per tutta la comunità parrocchiale.

ANDIAMO AVANTI
Se anche si chiude un nuovo anno pastorale, la vita della comunità va avanti. Passeremo l’estate e poi inizieremo un nuovo anno. Tutto passa, ma la comunità resta. A noi il compito di amarla e di servirla come vuole il Signore. Siamo comunità in forza della sua grazia che ha fatto germogliare qui in questo quartiere con la potenza del suo Spirito. Consapevoli di questo ci abbandoniamo a lui che sempre fa il nostro vero bene.

La Santa Messa, festa dell'incontro con Dio


L’intenzione di Dio quando ha pensato di creare l’uomo era quella di crearlo a sua immagine e somiglianza, metterlo in un paradiso terrestre e, dopo una certa prova, chiamarlo nel Paradiso celeste. Il Demonio ha cercato d’intralciare questo progetto di Dio, facendo sbagliare l’uomo, cercando di cancellare questa immagine di Dio; Dio, però, è intervenuto, inventando, nel suo amore smisurato, il modo per ridare all’uomo questa immagine divina, mandando in questo mondo il suo unico Figlio che, attraverso l’invenzione dell’Eucaristia, potesse raggiungere lo scopo...
Dopo aver letto e, spero, meditato, alcuni pensieri di due maestri di spirito (il card. Mercier e l’abate Courtois) penso che ogni cristiano sia invogliato a venire più spesso in Chiesa per partecipare alla S. Messa, essendo la preghiera più gradita al Padre, poiché è Gesù stesso che la offre, al quale ci uniamo anche noi. Se noi teniamo presente che la S. Messa è il “rivivere’ il sacrificio del Calvario (infatti sull’altare vi sono l’ostia ed il calice che simboleggiano il corpo ed il sangue di Gesù, separati per indicare la morte della vittima-Gesù) ed il “rivivere” l’ultima Cena, dovremmo cercare di avere anche i pensieri che aveva la Madonna quando accompagnava Gesù al Calvario, ed i pensieri che avevano gli apostoli nell’ultima Cena. Allora non dovremmo più dare spazio alle chiacchiere che distraggono.
Dal capitolo sesto del vangelo di Giovanni abbiamo queste affermazioni di Gesù “Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno ed il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo. In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno....Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me ed io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me, vivrà per me...”. (cfr. Gv. 6, 51-58).
In queste poche righe si può dire che c’è tutta la potenzialità dell’Eucaristia.
Innanzitutto notiamo che Gesù ha scelto il pane, che è il cibo normale dell’uomo, ed il vino che è la bevanda che normalmente accompagna il pane e dà anche la gioia, come canta il salmo: “il vino che allieta il cuore dell’uomo”. Quindi Gesù ha scelto il nutrimento normale dell’uomo: pane – vino.
Nel primo Libro dei Re, ai capitoli 18 e 19, viene narrata la sfida che il Profeta Elia ha sostenuto contro i 400 profeti del dio Baal: riuscì a far scendere dal cielo il fuoco che consumò le vittime sull’altare, mentre i profeti di Baal non erano riusciti e furono tutti uccisi. La regina Gezabele lo seppe e minacciò di morte Elia, che dovette fuggire.
Stanco, si fermò sotto una ginestra e si addormentò. Un angelo del Signore lo svegliò, facendogli trovare vicino una focaccia ed un orcio di acqua e gli disse: “Alzati, mangia e bevi perché è troppo lungo per te il cammino!” Elia si alzò, mangiò e bevve e con la forza di quel cibo, camminò fino al monte di Dio, l’Oreb, dove ricevette dal Signore una missione importante da compiere. Ebbene, quella miracolosa focaccia che diede ad Elia la forza necessaria e sufficiente per raggiungere la meta, è simbolo dell’Eucaristia che ci rafforza e ci sostiene nel faticoso cammino della vita.
Dobbiamo, però, notare una cosa molto importante sulla quale noi, probabilmente, non riflettiamo a sufficienza: come il nutrimento non solo ci mantiene in vita e ci dà forza, ma ci fa crescere perché la parte più nutriente del cibo viene assorbita e diventa una cosa sola con il nostro organismo, così anche la S. Comunione non solo ci mantiene in grazia di Dio, ma, anche, ci deve far crescere in santità. Don Stefano Chiapasco infatti, nel primo incontro sull’Eucaristia tenuto martedì 3 dicembre, ha affermato molto chiaramente che “tutte le volte che noi riceviamo la Comunione, dovremmo diventare sempre più santi!”
Partecipare alla S. Messa senza ricevere la S. Comunione è come partecipare ad un banchetto di nozze ed accontentarsi di guardare gli altri commensali che mangiano, mentre il desiderio di Gesù, espresso molto chiaramente nel vangelo di Giovanni, è che quando noi partecipiamo alla S. Messa abbiamo anche a ricevere il suo corpo ed il suo sangue, affinché diventiamo una cosa sola con noi. Quando il celebrante o il diacono congedano i fedeli perché la Messa è finita, ogni fedele deve sentirsi affidare la continuazione nel mondo della missione di Cristo. La Messa di Gesù è finita, ora inizia la vostra.
Le parole che S. Paolo indirizzava ai fedeli di Roma le dobbiamo prendere in questo senso: diceva l’apostolo: “Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio, è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare, rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (cfr. Rm. 12, 1).
Quindi Gesù, avendo “inventato” l’Eucaristia, che, se ben ricevuta, rende l’uomo simile a lui, ha portato a compimento la missione ricevuta dal Padre:”ridare all’uomo l’immagine di Dio, cancellata dal peccato, rendendolo ancora capace, se collabora, di andare in Paradiso”.
Iniziando un nuovo anno civile, che, sempre, lo dobbiamo vedere come un Grande dono dell’amore di Dio, si presenta a ciascuno di noi l’occasione propizia per formulare dei buoni propositi che vadano sempre d’accordo con quelli che il Signore vuole da ciascuno di noi perché è di questo che il Signore ci domanderà conto al termine della nostra vita terrena.
Concludendo, dobbiamo riconoscere che, per un cristiano, non è sufficiente partecipare alla S. Messa, ma deve anche viverla durante la giornata, così migliora anche la sua condotta di vita, poiché dà una buona testimonianza di vita vissuta.