martedì 28 maggio 2013

A cuore aperto

Non so se faccio bene a comunicarvi i sentimenti che provo in queste settimane in cui ho dovuto presentare al Vescovo, a norma del Diritto Canonico, la domanda di rinuncia al servizio pastorale alla parrocchia che sto servendo da quasi 21 anni. E’ un dovere che ogni parroco deve assolvere al compimento dei 75 anni. Ho vissuto questo dovere serenamente come potete leggere in altra pagina di questo bollettino. 

ECCO I MIEI PENSIERI
Pur nell’incertezza di farvi cosa utile, mi sono tuttavia deciso a scrivervi perché mi siete cari e so che anche voi, da come mi è sembrato di vedere in queste settimane, avete vissuto o state ancora vivendo un momento particolare di vita parrocchiale nei miei confronti, come pure io li sto vivendo in prima persona verso di voi.
Ho pensato allora di manifestarvi i miei sentimenti perché so che il parroco in una parrocchia è come un padre di famiglia, e come questi nei momenti difficili o di gioia deve comunicare ai figli ciò che sta vivendo nel proprio cuore, così anch’io vi dico ciò che provo e sto vivendo perché insieme possiamo offrire tutto al Signore.
La lettera che ho scritto al Vescovo e che potete leggere vi dice già molte cose. Chi mi ha mosso a scrivere questa richiesta di esonero dall’ufficio di parroco non è stato il rifiuto della comunità parrocchiale e la fatica del servizio pastorale, ma in primo luogo la volontà della Chiesa espressa nel Diritto Canonico, e subito dopo il bene della comunità parrocchiale. Mi soffermo soprattutto su questo aspetto. 

IN PRIMO LUOGO
I tempi passano, le forze vengono meno, le situazioni si evolvono, i problemi si presentano con una certa incisività, e chi ha ormai un po’ di anni sulle spalle non sempre ha quello spirito capace di affrontare adeguatamente le nuove situazioni che si presentano. Abbiamo avuto tanto coraggio nell’intraprendere faticose ristrutturazioni. Abbiamo inoltre faticato parecchio, ma sempre con gioia, per il rinnovamento della pastorale e della vita della comunità parrocchiale. Ora bisognerebbe andare e aprire maggiormente il cuore ai nuovi arrivati in questo popoloso quartiere, e sono tanti. Come dice Papa Francesco, la Chiesa deve aprirsi, non deve chiudersi, deve andare, deve accogliere. La missionarietà è una nota sempre fondamentale della Chiesa e quindi di una comunità parrocchiale. E qui quanto ci sarebbe da fare, ma le forze stanno venendo meno.

IN SECONDO LUOGO
Stiamo vivendo un momento di crisi. Manca il lavoro e con questo mancano le risorse. I poveri si fanno sempre più sentire. Vi confesso che in questi ultimi tempi il campanello della casa parrocchiale si fa sempre più sentire per richieste di aiuto. Grazie alla generosità delle giovani famiglie e di tanti altri sanfereolini dal cuore grande, viene spesso incontro l’iniziativa “famiglie per famiglie”. Nell’ascoltare questi “poveri” e nel cercare di risolvere le possibili situazioni, sento tutta la mia incapacità. Forse sarebbe necessario avere un più di coraggio per intraprendere come Caritas nuove iniziative di cooperazione. Ma anche questo manca.

IN TERZO LUOGO
C’è poi l’aspetto umano del rapporto con le persone. Ad una certa età diventa un po’ difficile. Infatti con il passare degli anni si va sempre più verso l’essenziale. Si vive l’aspetto umano, ma se ne sente il peso. E così non si è sempre sereni come si vorrebbe. Si creano invece situazioni non sempre aperte e coinvolgenti. E’ come avviene in una casa dove vi sono adulti e giovani pieni di vita e c’è pure un anziano, che se anche è ancora di spirito giovane, non sempre si lascia coinvolgere, ma anche d’altra parte non viene coinvolto perché è di un’altra età. Non dobbiamo però cercare il giovanilismo ad oltranza, ma avere capacità di coinvolgerci e di lasciarci coinvolgere in tutte le vicende, quello sì. E così un parroco più giovane potrebbe fare molto meglio, e con un’umanità più grande e soprattutto giovanile, potrebbe essere maggiormente coinvolgente a favore della comunità parrocchiale.

E INFINE
C’è anche la salute. Gli anni passano anche per i parroci. E aumentando negli anni, la cosi detta “macchina” si logora e si consuma. Gli acciacchi vengono anche a chi serve il Signore. Se anche lo spirito è ancora abbastanza giovane, anche se lo slancio pastorale è ancora più vivo che mai, la stanchezza non manca. C’è poi il desiderio di un po’ di pace lontano dal campanello di casa e dallo squillo del telefono che si fanno sentire continuamente. Sono anche convinto che il Signore vuole tutto, ma ciò non toglie che si senta la stanchezza.

E COSI’
Con questi sentimenti e con queste convinzioni ho presentato la richiesta voluta dalla Chiesa. Il nostro Vescovo ha letto la mia lettera e nella conversazione avuta con lui, tenendo conto della mia persona e delle circostanze, mi ha invitato a continuare. E adesso mi trovo a dire a me stesso e a tutti voi...

ANDIAMO OLTRE IL TRAGUARDO
E così dopo aver parlato con il Vescovo, dopo aver ricevuto la sua lettera e dopo l’annuncio che lui stesso ha dato nella nostra Chiesa del S. Cuore domenica 19 maggio al termine della celebrazione della Cresima, la mia vita a S. Fereolo continua ancora. Sono ancora il vostro parroco. Non so fino a quando. 
Una cosa è certa: dobbiamo andare avanti ancora insieme. Forse per un anno? Non stiamo qui a fare i conti. Noi dobbiamo lavorare per il Signore, per la sua e nostra Chiesa. E io e voi non desideriamo fare altro.

ACCOGLIETEMI ANCORA
Vi rivolgo questo invito con tutto l’affetto che vi ho sempre dimostrato pur nella mia povertà e incapacità. Andiamo avanti con slancio e passione, con tanta fede e soprattutto sostenuti dall’amore del Signore che non invecchia mai e sempre ci fa giovani nel cuore e nello spirito. Il desiderio che abbiamo sempre avuto in questi anni di rendere belle le nostre chiese, ma soprattutto significativa la nostra pastorale, per una degna lode al Signore e per una testimonianza cristiana viva e sostanziosa al quartiere, deve sostenerci ancora e - voglia il cielo - consolidarsi maggiormente. 

ANDIAMO AVANTI CON FEDE E AMORE
Se anche i tempi sono difficili, noi abbiamo il Signore. E allora dobbiamo andare avanti con il suo aiuto. Fede e amore sono infatti le nostre colonne. Siamo radicati nella fede. E questa, nella misura in cui è forte, dà la possibilità di smuovere anche le montagne. C’è poi il suo amore che non vien mai meno e sempre ci provoca ad andare avanti, consapevoli che alla fine lui sempre trionferà per la gioia di tutti. Lasciamoci allora sostenere dal Signore. Se lui ci vuole ancora qui insieme è perché ha ancora qualcosa da dirci e da farci fare. E noi non desideriamo altro che metterci a sua completa disposizione anche se i tempi per l’evangelizzazione sono oggi più difficili di ieri.

CHE COSA VI DARO’?
Non vi dico quello che qualcuno in questa circostanza direbbe: “Dopo esservi nutriti della mia buona carne, ora succhierete le mie ossa secche”. Non sono capace di dire queste cose. E nemmeno voglio dirvele. Vi dico invece che se il Signore ci aiuterà, e ci aiuterà senz’altro, metterò ancora in atto ciò che lui stesso mi suggerirà per il bene di questa nostra comunità parrocchiale. E sono convinto che ci suggerirà ancora cose belle da fare insieme. Lui infatti è ricco di idee stupende e ciò che vuole, sempre ci dà la possibilità di realizzarlo.

NELLA FIDUCIA E NELLA SPERANZA
Andiamo avanti in primo luogo con fiducia. Se il Signore ha voluto che restassi, è segno che va bene così. E noi sotto un certo aspetto siamo contenti. La sua volontà è sempre da mettere al primo posto. 
E poi andiamo avanti con speranza, la speranza cristiana. Questa infatti è il motore che smuove, sostiene e anima la vita dei cristiani e dei sacerdoti. Questa potenza ci dà soprattutto la certezza che tutto va a buon fine. Con il Signore tutto fiorisce anche se alcune volte bisogna passare attraverso la croce. A Lui affidiamo questo nuovo tratto di cammino da fare insieme. 
A tutti voi chiedo la grazia di un ricordo nella vostra preghiera perché la mia vita - anche se ormai carica di anni - vi dica sempre qualcosa di più dell’amore del Signore e io sappia leggere la sua presenza amorosa nella vostra vita.

La festa del Sacro Cuore

Nel mese di Giugno e, precisamente, il Venerdì che precede la seconda Domenica dopo la Pentecoste, viene celebrata la solennità del Sacro Cuore di Gesù e, per questo, si può dire che tutto il mese di Giugno è consacrato alla devozione al S. Cuore. E’ una devozione che trae la sua origine da alcune apparizioni che il S. Cuore fece a S. Margherita Maria Alacoque, una suora Visitandina nel monastero di Paray-le-Monial nel quale venne celebrata per la prima volta la festa nel 1686.
Ma la devozione al Sacro Cuore è ancora attuale?
Nel clima di desacralizzazione in cui viviamo, è lecito chiedercelo, anche se sappiamo che la risposta è certamente positiva, purché si comprenda il vero spirito che la deve sostenere.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica, alla domanda: “Che cosa rappresenta il Cuore di Gesù?”, risponde con queste chiare parole: “Gesù ci ha conosciuti e amati con un cuore umano. Il suo cuore, trafitto per la nostra salvezza, è il simbolo di quell’infinito Amore col quale Egli ama il Padre e ciascuno degli uomini (cfr. Catechismo Chiesa Catt. n.478).
Gli altri pii esercizi che sono collegati a questa devozione devono essere intesi come un aiuto per accrescere in noi l’amore verso Gesù e per esprimere il nostro desiderio di riparare le offese a Lui arrecate.
Ma Gesù aveva veramente un amore umano, oltre ché divino?
Nel Vangelo troviamo tanti riferimenti in proposito; mi limito a ricordarne uno: Gesù amava tutti, ma aveva un affetto particolare per una famiglia di Betania, composta da tre persone: Marta, Maria e Lazzaro.
Un giorno le due sorelle (Marta e Maria) mandano a dire a Gesù: “Signore, quello che tu ami, è ammalato!” Gesù si trattenne ancora due giorni, poi, andò a trovarlo ma, nel frattempo, Lazzaro (l’ammalato) moriva.
Gesù, arrivato alla casa, si fece accompagnare presso la tomba dell’amico morto e, dice il Vangelo, Gesù “Pianse!”. Allora i Giudei che erano andati per consolare Marta e Maria, si meravigliarono e dissero:”Guarda come lo amava!”.
Gesù stesso ci tiene molto a far conoscere agli uomini questo suo amore, narrando tre parabole, chiamate le “parabole del cuore”, comandando ai suoi discepoli di farle conoscere in tutto il mondo, perché se conosciute, capite e vissute, devono dare ad ogni persona umana, in qualunque situazione della vita si possa trovare, una grande serenità e gioia.
Queste tre parabole (la pecorella smarrita, la dramma perduta ed il padre buono) le troviamo tutte nel capitolo 15 del Vangelo di Luca e manifestano veramente il cuore umano di Gesù.
Tutte e tre le parabole parlano di festa: “Rallegratevi con me - dice il pastore - perché ho ritrovato la mia pecora che avevo perduto!”; “Rallegratevi con me - dice la donna - perché ho ritrovato la dramma!”; “... e cominciarono a far festa” per il ritorno del figlio prodigo.
Festa in terra, dice Gesù, ma più festa in cielo per un peccatore convertito che per novantanove giusti. Ma in Cielo non può aumentare la festa eterna, allora è il cuore umano di Gesù che esplode di gioia per la pecora riabbracciata, la dramma ritrovata, il figlio prodigo ritornato.
Nelle tre parabole, Gesù sottolinea il luogo privilegiato nel quale fare la festa: la casa. Chi ritrova la pecorella, va a casa e chiama gli amici; chi ritrova la dramma, spazza la casa; il figlio che ritorna viene accolto a far festa in casa. La casa richiama la famiglia, dove tutto viene condiviso, sia le gioie come le sofferenze; Gesù associa l’idea della festa e della socialità della gioia alla casa. I tre protagonisti, infatti, chiamano gli amici a festeggiare in casa e non nel ristorante. 
Le tre parabole manifestano tre atteggiamenti molto importanti del cuore umano di Gesù. 
- La sua tenerezza: la pecorella ritrovata non viene castigata dal pastore, ma viene presa sulle spalle e portata nell’ovile, mentre i pastori, di solito, spingono la pecora ritrovata nell’ovile a suon di legnate!
- La sua attenzione: narrando la parabola della dramma, Gesù ha voluto ricordarci quanto gli siamo preziosi. Infatti la dramma era una piccola moneta che si poteva facilmente perdere nelle fessure del pavimento (di allora), sotto i mobili od anche sotto il letto; ecco perché il modo migliore per ritrovarla era quello di “spazzare” la casa. Quindi, anche se noi siamo una piccola cosa, per lui, però, siamo importanti e se ci perdiamo, lui ci cerca come se fossimo soli al mondo!
- Il suo perdono: il terzo atteggiamento del cuore umano di Gesù nei nostri confronti è la continua sua disponibilità al perdono.
Ricordiamo la risposta che Gesù ha dato a Pietro quando l’apostolo gli ha chiesto quante volte si deve perdonare al fratello che sbaglia verso di te. Dicendo fino a sette volte, Pietro pensava di aver raggiunto il massimo, Gesù, invece, lo completa: “Non dico fino a sette volte, ma, fino a “settanta volte sette!” Cioè, sempre!
Il giovane della parabola che abbandona la casa paterna, diventa uno sciupone, un donnaiolo e finisce per diventare un misero guardiano di porci, contendendo ad essi le ghiande, non merita che disprezzo, ma fino a quando non decide di tornare e chiedere perdono. Perfino il fratello maggiore lo accusa e non condivide la troppa remissività del padre che lo riveste delle vesti più belle, lo reintroduce in casa, fa uccidere il vitello più grasso e organizza una grande festa.
Si avvera così il detto che il cuore ha delle ragioni che la ragione non ha e Gesù, finché viviamo in questo mondo, preferisce ragionare con il cuore, quindi Gesù è una persona come noi ed allora, cerchiamo di trattarlo come ci comportiamo noi: vedete, quando noi andiamo in casa di qualcuno, anche se siamo in compagnia, la prima cosa che facciamo è quella di salutare il padrone di casa, di parlare con lui e di ascoltarlo (soprattutto se ci ha chiamato lui), purtroppo, invece, tante volte capita che si viene in chiesa in compagnia e si continua a parlare con la persona vicina e Gesù viene ignorato. Può anche capitare che si occupi tutto il tempo che si sta in chiesa, recitando delle preghiere, mentre, già nell’Antico Testamento, Dio diceva al suo popolo: “Ascolta, Israele!”. Perché dobbiamo sapere che quando ci rechiamo in chiesa, è perché il Signore ci chiama: quindi, è perché Lui ha qualche cosa da dirci. Quindi noi, se accogliamo il suo invito, dobbiamo recarci in chiesa disposti più ad ascoltare il Signore che a parlare noi. Sapendo che Gesù ha un cuore umano, lo dobbiamo anche trattare come una persona umana; sapendo che Gesù è anche una persona divina, dobbiamo anche ammettere che ha più cose Lui da dire a noi che noi a Lui.
Il nostro Creatore ci ha fatto intelligenti apposta perché potessimo capire queste cose e comportarci in modo coerente: quando, ad esempio lo riceviamo nella S. Comunione, dovremmo capire che siamo in intimità profonda con Lui, che è un amico che ci vuole bene, e quindi dobbiamo tacere ed ascoltarlo perché è una persona viva ed è lui che ci ha chiamato.
Teniamo sempre presente questi sentimenti del cuore umano di Gesù; sono sicuro che ricaveremo un grande aiuto per la nostra vita spirituale, godendo della vera gioia che Lui ci farà provare in abbondante misura, perché è Lui stesso che ce lo dice: “Amore voglio, non sacrifici; non offerte, ma comunione con me”.