domenica 23 febbraio 2014

Tempo di Quaresima: facciamone tesoro!

Ogni giorno ne vediamo di tutti i colori. Con questa parola “colori” non intendiamo certo l’arcobaleno che si innalza radioso nel cielo, ma il male che si manifesta mediante la violenza, la disonestà, il sopruso, le uccisioni nelle case e sulla strada. Tutto questo poi, più o meno sfacciatamente, ci viene anche servito ogni giorno nelle nostre stesse case mediante la televisione mentre siamo ben seduti in poltrona. E chi vede tutto questo siamo tutti noi, dagli adulti ai giovani, e a volte anche gli stessi bambini.
Ci stiamo abituando a questo mondo di violenza e sopraffazione. Davanti a questa società che sembra aver perso il senso del rispetto degli altri, l’impegno dell’onestà, il valore della propria responsabilità, che cosa facciamo? Niente, al massimo ci lamentiamo e scuotiamo la testa. Le uniche parole che diciamo si limitano ad esprimere che stiamo camminando verso la fine. E così ci si rassegna, con la speranza che non ci capiti qualcosa di grave da parte di chi ci abita vicino e che nessuna macchina ci investa lungo la strada mentre camminiamo tranquilli sul marciapiede.

QUESTO NON E’ CRISTIANO
In primo luogo dobbiamo dire che non è cristiano buttare in faccia, dai piccoli agli adulti, tutto il male che avviene in ogni parte del mondo come se esistesse solo questa violenza. In secondo luogo non è poi assolutamente cristiano vedere e non sentire un minimo disagio per quello che avviene nel mondo o anche accanto a noi, e poi soprattutto nutrire sfiducia e continuare a stare seduti in poltrona o continuare a voler saperne sempre di più su tutti i fatti cruenti e disonesti.
Il cristiano sa che il male esiste anche dopo la venuta del Figlio di Dio sulla terra. Non è miope. Sa pure che Cristo è morto e risorto per dare agli uomini quella forza necessaria per non creare di propria mano la morte ai propri fratelli, ma per essere con lui costruttori di un’umanità aperta alla fratellanza, alla condiscendenza con i sofferenti, orientata alla pace e alla vita nuova che ha come meta per tutti il paradiso.

E ALLORA CHE FARE ?
Davanti a questa umanità che porta sempre con sé la ferita del peccato originale anche se redenta dal sangue di Cristo, il cristiano, guardando che il male sembra avere il sopravvento sul bene, non può chiudersi in se stesso lasciando che tutto vada a rotoli e non impegnarsi a far germogliare il bene e a farlo crescere. Se si limitasse a guardare, a sapere, a pronunciare parole di delusione o anche solo di condanna, non potrebbe dirsi cristiano. La fede ricevuta in dono, alimentata con la preghiera e i sacramenti, deve spingerlo a fare qualcosa. Non si tratta di andare sulle piazze a richiamare chi si comporta male, chi agisce da violento, ma di incominciare da sè stesso a vivere e a testimoniare concretamente e sinceramente i veri valori. Oggi purtroppo dobbiamo dire che manca in parecchi questa testimonianza viva e concreta, sincera e profonda. Come siamo lontani dai primi cristiani che vivevano la fede e testimoniavano con coraggio fino alla morte i valori ricevuti in dono dal Vangelo!

SOPRATTUTTO
Siamo più che mai convinti che oltre alla testimonianza viva e concreta noi come cristiani abbiamo una strada tutta particolare. Si tratta della nostra santificazione. Quanto più un uomo, una donna, un sacerdote camminano in santità di vita, tanto più fanno germogliare tanto bene nel cuore dell’umanità senza che nessuno se ne accorga. La santità non fa baccano, ma edifica il bene. La santità non ha bisogno di correre, arriva dappertutto. La santità non si vede, ma è quanto mai viva e concreta. Ancora la santità non è generica, ma è strettamente personale, raggiunge personalmente tutti e quindi tutti ne godono i benefici. E’ questa infatti la potenza del cristiano. Santificandosi si fa crescere il bene nell’umanità, si santifica tutti. Se quindi diventassimo tutti sempre più santi, il Signore con la sua potenza farebbe trionfare maggiormente il bene in ogni parte dell’umanità.

E’ QUARESIMA: IMPEGNIAMOCI
Se la santità del cristiano unita alla potenza di Cristo risorto fa nuove tutte le cose, ecco allora la Quaresima come tempo di purificazione e di santificazione. Accogliamo allora il dono della Quaresima e impegniamoci in un serio cammino di santificazione. I frutti li percepiremo in noi e attorno a noi. Ne siamo sicuri. Il Signore ci ha detto infatti che senza di lui non possiamo far nulla, con lui tutto il bene è possibile. E sappiamo che il Signore fa miracoli dove vede che un’anima si abbandona al suo amore. Facciamo tesoro di queste proposte della comunità parrocchiale. Ognuno scelga quella di cui maggiormente sente il bisogno e poi lasci al Signore di compiere meraviglie nel cuore di tutti.

Offrirsi con Cristo al Padre nell'amore

Al Congresso eucaristico di Milano di qualche anno fa, fu chiesto a Mons. Ablondi, allora vescovo di Livorno: “Quanti sono quelli che a Livorno, vanno regolarmente a Messa nei giorni di festa?” “Non mi interessa – rispose - sapere quanti sono quelli che ci vanno, piuttosto m’interessa sapere come escono quelli che ci sono andati!”.
E’ vero, perché, partecipare alla S. Messa vuoI dire immedesimarsi con Gesù rinunciando a se stessi fino al punto di dire con S. Paolo: “Vivo io, ma non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me!”.
E’ ciò che si vuoI far capire in questo scritto.
Incominciamo col dire che l’Eucarestia deve arrivare ad essere il cuore della nostra giornata, cioè il centro di ogni nostra attività, anche la più materiale, come afferma l’apostolo: “Sia che mangiate sia che beviate, tutto fate per la gloria di Dio”!
Quindi l’offerta della vita concreta con tutte le sue attività deve essere fatta a Dio in un gesto d’amore sia per il bambino nelle sue semplici prove, che per l’adulto nei momenti più bui e difficili della sua vita. Dire sempre “sì!” al Padre in un clima amoroso ha uno stretto ed intimo rapporto con l’Eucarestia, infatti l’Eucarestia rende presente l’offerta che Gesù fa al Padre della sua vita per la salvezza del mondo, 
Quindi, vivere l’ Eucarestia è unire il nostro gesto di offerta al suo, imparando anche noi ad offrirci al Padre. Celebrare l’Eucarestia senza questa disponibilità d’animo - dice il Padre Garrigou-Lagrange - è come offrire un sacrificio senza vita!”. Il Concilio Vaticano II nel documento sul ministero e la vita sacerdotale, al n. 5 dice: “Infatti nella S.S. Eucarestia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua e pane vivo che, mediante la sua carne vivificata dallo Spirito Santo e vivificante dà la vita agli uomini i quali sono invitati e indotti ad offrire assieme a Lui, se stessi, il proprio lavoro e tutte le cose create”. Quindi dobbiamo affermare che chi è capace di vivere il suo sacrificio spirituale in unione con quello di Cristo, vive l’Eucarestia. Nella lettera agli Ebrei troviamo queste parole: “Cristo, entrando nel mondo, dice, rivolgendosi al Padre: ‘Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato’. Allora ho detto: ‘Ecco io vengo - poiché di me è stato scritto nel rotolo del libro - per fare, o Dio, la tua volontà!’”.
Questa offerta di se stesso che Gesù fa al Padre, l’ha vissuta senza nessuna incrinatura lungo tutta la sua vita e l’ha consumata sul Calvario con un supremo atto d’amore. Gesù la rende presente con tutta la sua freschezza ed efficacia in ogni Eucarestia; e questo rende possibile un ininterrotto rendimento di grazie al Padre, 24 ore su 24, perché, per il fuso orario, ogni ora in qualche parte del mondo viene celebrata una S. Messa. Osserviamo ancora che ogni preghiera, ogni opera buona ed ogni sacrificio che una persona buona può compiere in ogni momento della giornata, arriva al Padre perché viene unita alla S. Messa che in qualche parte del mondo, in quel momento, viene celebrata. Questo, indubbiamente, è uno stimolo ad essere sempre più generosi nelle preghiere, nei sacrifici e nelle opere buone, perché nulla di tutto ciò va perso, ma viene valorizzato perché unito al Sacrificio di Gesù, che torna sempre molto gradito al Padre. Questa verità dovrebbe aiutarci a continuare l’Eucarestia nella nostra vita, cioè a vivere la nostra esistenza cristiana da una Messa all’altra, cioè vivere a partire dalla Messa e in vista della Messa, attingendo dal sangue di Cristo la forza di amare.
Dobbiamo riconoscere che quando noi ci raduniamo per celebrare l’Eucarestia formiamo un’assemblea e, nell’assemblea, che non è un’accozzaglia di gente sconosciuta, ma persone unite da una stessa fede, santificate dagli stessi Sacramenti, si esige che ci sia una vera comunione di amore. Dunque, da una parte come vuole la Comunità per fare l’Eucarestia, altrimenti l’Eucarestia è falsata dalle radici; dall’altra, nell’Eucarestia la Comunità si costruisce, si cementa sempre di più. E’ dunque vera l’affermazione:”Ci vuole la Chiesa per fare l’Eucarestia, ma ci vuole pure l’Eucarestìa per fare la Chiesa”.
Prendiamo sempre come esempio la comunità primitiva di Gerusalemme: la sorgente è l’Eucarestia, il centro focale è la presenza di Cristo intorno a cui ci stringiamo, il vincolo che cementa è l’amore.
Come si può vedere, in una comunità l’Eucarestia ha un ruolo essenziale. Chi ci dà la forza di stare insieme? Di superare tutte le differenze? Di vincere tutte le difficoltà della convivenza? L’Eucarestia quotidiana!
Se non ce la dà questa forza, è perché non la sappiamo prendere!
E’ perché non la viviamo! Non posso andare a celebrare l’Eucarestia con un fratello al quale non rivolgo la parola, col quale non mi sento unito fraternamente! E’ questione di autenticità!
Non posso neppure dire: “Allora non vado alla S. Messa!”. Sarebbe veramente una grave ingratitudine verso Dio.
In uno degli opuscoletti che si usano per la preghiera silenziosa, viene ricordata una verità molto importante che nessuno di noi deve dimenticare: “Se il Padre cessasse di amarmi, io cadrei subito nel nulla! Cioè, cesserei di esistere!” Quindi io continuo ad esistere perché il Padre mi vuol bene; se è così, come posso io non sentire il grave dovere ogni giorno di dirgli e fargli arrivare il mio: “Grazie!”?
Ma sappiamo che l’unico ringraziamento che il Padre gradisce è quello che gli arriva attraverso il sacrificio del suo Figlio, cioè attraverso la S. Messa. Se apprezzo il dono della vita e, come persona ragionevole lo dovrei, il quotidiano ringraziamento a Dio lo dovrei sentire, tenendo anche presente che continuamente il demonio le inventa tutte per farcelo dimenticare.
Non per nulla la Chiesa, sempre guidata dallo Spirito Santo, fa ripetere più volte al giorno l’invocazione:”O Dio, vieni a salvarmi! Signore, vieni presto in mio aiuto!” perché sa che noi siamo sempre in pericolo, basta una distrazione, basta un’imprudenza e noi ci caschiamo (tratto da “Vivere l’Eucarestia” di Mons. Mariano Magrassi).

domenica 2 febbraio 2014

Grazie, Signore, per tutti i tuoi doni

Riportiamo l’omelia che il parroco ha pronunciato alla sera del 31 dicembre durante la Messa solenne di ringraziamento.

Carissimi, questa sera possiamo chiamarla la sera dei ricordi, la sera degli auguri, la sera della speranza.
Questa sera ricordiamo: ricordiamo non solo un anno che se ne va con tutto quanto abbiamo vissuto, ma anche le singole vicende che ci hanno toccato nel profondo del cuore, hanno sconvolto la nostra quotidianità, hanno segnato vivamente la nostra vita.
In questo nostro ricordare non fermiamoci solo sulle croci che ci sono cadute addosso o abbiamo portato. Se le ricordiamo, e non possiamo farne a meno, prendiamo coscienza che con queste ci è venuto anche l’aiuto del Signore. Se Lui non ci avesse sostenuto non saremmo qui. Sì, perché la croce schiaccia, distrugge. Ma noi in forza dell’amore del Signore abbiamo da Lui quell’aiuto per non cadere, per continuare a guardare avanti con fiducia e serenità.
Ma noi vogliamo ricordare in modo particolare le grazie, le benedizioni, gli aiuti, le meraviglie che il Signore che ci ha fatto e con il suo aiuto abbiamo realizzato.
Come vostro parroco voglio guardare con voi ciò che il Signore ha fatto in questo anno che ormai stiamo per mettere in archivio. 
Ci chiediamo allora con semplicità e con tanta fede: quali doni ci ha fatto il Signore in questo anno?

Il primo dono
Carissimi, quello che ora per primo andrò dicendovi non vi sembri retorica, non vi sembri una scontata ripetizione, non vi sembri neppure una cosa pacifica: è invece il dono più bello e più grande che possiamo avere e desiderare. 
Si tratta del dono senza il quale la nostra vita sarebbe assurda, sarebbe un puro e costante morire svanendo nel nulla e se volete anche nella disperazione. 
Di che dono si tratta? Si tratta - carissimi - del dono del suo amore. Dio ci ama e ci ha voluto bene. Dio ha continuato a volerci bene in tutto questo anno. Questa verità non vi sembri una cosa scontata. Se è cosa scontata è perché non crediamo profondamente nell’amore di Dio. E’ perché non conosciamo nemmeno la nostra povertà e nullità, e tanto meno percepiamo qualcosa della sua infinita grandezza.
Dio ci ama, Dio ci vuole bene. Ecco la verità che dà senso e significato alla nostra vita. E Lui, preso da questo suo amore, ha continuato a riversarlo nei nostri cuori in tutto questo anno che ormai abbandoniamo dietro alle nostre spalle. Ci ha voluto bene, nonostante le nostre povertà, i nostri peccati, ci ha voluto bene anche se abbiamo fatto poco o niente per conoscere questo suo amore, anche se non ci siamo impegnati a contraccambiare questo suo amore con un poco del nostro amore.
Carissimi, diciamogli allora grazie. Ma anche chiediamogli di non stancarsi di amarci, e soprattutto diciamogli questa sera e poi ogni giorno di aiutarci ad amarlo con tutta la nostra mente, con tutta la nostra volontà, con tutto il nostro cuore. Convinciamoci sempre di più che è l’amore del Signore la nostra forza, la nostra serenità, la nostra vera gioia.

Il secondo dono
Il secondo grazie che sento con voi di dire al Signore questa sera è perché la nostra attività pastorale è andata avanti nonostante le difficoltà del momento. E siamo andati avanti con sempre nuovo slancio, con sempre nuova passione. All’anno del Battesimo è seguito l’anno dell’Eucarestia. La volontà di coinvolgere tutti e di fare del nostro meglio per l’evangelizzazione del quartiere è sempre grande e va sempre più radicandosi nel cuore del Signore. Pur constatando che gli anni passano e le forze vengono meno, la passione di fare della comunità parrocchiale un segno vivo dell’amore del Signore per tutti i sanfereolini, è sempre grande e sempre cresce. Ringraziamo allora il Signore che sostiene la nostra attività pastorale, la qualifica con il suo spirito e la spinge a spendersi sempre maggiormente per questo amato quartiere.

Il terzo dono
Se l’attività pastorale va avanti con sempre rinnovato slancio, c’è un aspetto che la qualifica e la caratterizza grandemente ed è quello della sua attenzione ai poveri. Un’attenzione che si esprime attraverso le numerose attività della nostra Caritas parrocchiale. Siamo più che mai convinti che una Chiesa che si limitasse a lodare e ad esaltare il Signore con solenni liturgie, ma poi dimenticasse i poveri, non sarebbe vera Chiesa e non assolverebbe in modo completo la sua missione. Lodiamo sì il Signore, ma serviamolo generosamente nei poveri.
E qui il nostro grazie va al Signore che ci dà non solo idee e slancio, ma anche suscita volontari e poi li sostiene con la sua forza. Pensiamo anche solo a tutti i volontari che lavorano nel settore Caritas. Dal doposcuola ai generi alimentari, dai vestiti all’ambulatorio, al centro di ascolto, all’accostamento dei poveri e delle persone in difficoltà, a chi provvede alle diverse pratiche per accedere ai fondi a chi è disponibile per tanti altri servizi.
E che dire poi degli aiuti che vengono dal quartiere? Penso alla raccolta dei generi alimentari. Mi ha commosso vedere un grande numero di sacchetti di generi alimentari domenica alla Messa dei ragazzi al S. Cuore. In quella circostanza benedicevamo il Bambino da mettere nel presepe, ma si era pensato anche al Gesù Bambino che vive nel povero. Ricordiamoci sempre che la Caritas parrocchiale esiste per educare tutti alla carità, all’amore fraterno. In quello che la parrocchia fa, ci siete tutti voi. Sentitevi sempre coinvolti in questa opera di carità. 
E allora anche qui dico grazie al Signore per il servizio che la nostra Caritas ha svolto in questo anno di crisi sia con l’aiuto del Signore che con la vostra generosità.

Il quarto dono
Ed infine come sempre non posso dimenticare l’aiuto che il Signore suscita in tutti voi mediante la vostra generosità per quanto riguarda i nostri debiti. In tutti questi anni in questa omelia di fine anno ho sempre avuto una particolare attenzione anche a questo aspetto. Non posso non farlo. E’ un mio dovere. Qui tocco con mano la vostra vicinanza, la vostra comprensione e in modo particolare il vostro sostegno.
Già ve ne ho parlato sul bollettino di Natale nella pagina “Riflessione di fine anno tra debiti e generosità”. Se andiamo avanti e come si dice “non facciamo figure” o meglio non mi fate fare brutte figure, è perché voi continuate con la vostra generosità, fatta di piccole o grandi gocce, a sostenere il pagamento dei debiti fatti in questi anni nella nostra parrocchia.
Qualcuno leggendo quell’articolo vi ha visto un certo pessimismo per il futuro. 
E’ vero. Questo pessimismo trapela non tanto per me, perché come vi ho sempre detto: abbiamo fatto tutto con retta coscienza, con l’apporto prezioso del nostro consiglio degli affari economici. Soprattutto abbiamo intrapreso opere di cui tutti sentivamo fortemente la necessità, si pensi soltanto al rinnovamento totale e radicale di questa chiesa del S. Cuore.
Se c’è in me una certa preoccupazione è per chi verrà dopo di me.
Io so con certezza che continuerete ad aiutare questa nostra comunità parrocchiale, come avete fatto in tutti questi anni. Ciò che voi fate, ciò che voi donate, va tutto per il bene, per la vita, per la missione che questa comunità svolge in nome del Signore sia per voi che per il quartiere.
Grazie allora di cuore per la vostra generosità che, adagio adagio, manifestate senza far baccano e senza chiedere riconoscimento. E allora dico a voi tutti con la forza dell’amore che nutro per voi e per tutta questa bella comunità parrocchiale: andiamo avanti con fiducia. Il Signore ci vuole bene e noi vogliamo amarlo con tutto il nostro cuore, consapevoli che nell’amarlo abbiamo tutto quanto di più bello e di più grande desideriamo o di cui abbiamo bisogno perché lui è un Padre buono e non vuole che il nostro vero bene. 

E da ultimo
Carissimi, concludendo, permettete, come ho già fatto lo scorso anno, che dica a voi tutti, ma anche agli assenti, il mio personale grazie.
Sì, desidero almeno questa sera, oltre al grazie al Signore, dire il mio personale grazie anche a tutti voi: ai collaboratori, agli adulti, agli anziani, agli ammalati, ai giovani e ai bambini, ma anche a chi è lontano dalla vita della comunità parrocchiale, a chi vive situazioni di particolare disagio, a chi appartiene ad altre culture. 
I motivi che mi spingono a dirvi questo mio personale grazie sono diversi, ma in modo particolare voi tutti siete la mia famiglia.
Una famiglia grande, ma bella, variegata e ricca di tanti valori. Infatti più vado avanti nel mio servizio pastorale nei vostri confronti, più i motivi aumentano e sempre più si qualificano. Gli anni sono ormai tanti. Il traguardo finale è stato raggiunto. Ormai sono un pensionato che attende il riposo. Tutto quanto è avvenuto in questo anno che si è aggiunto ancora alla lunga schiera, è stato un altro dono di grazia del Signore. Non so che cosa mi riserverà il nuovo anno.
Una cosa è certa: come già vi ho detto lo scorso anno, il mio amore per voi va sempre più purificandosi e nello stesso tempo si fortifica grandemente.
Sento profondamente nel mio cuore e nella mia vita spirituale che mi siete diventati sempre più cari.
Per la fede che il Signore mi dona e per l’amore che nutro per voi, io vedo che tutto: le fatiche pastorali, come pure le gioie e i sospiri, le iniziative riuscite o quelle meno, le incomprensioni e le difficoltà, le speranze e le delusioni, sono tutte dono di grazia da parte del Signore mediante le quali Lui, il Signore Gesù, lavora nel profondo della mia vita per il vostro bene. Infatti il desiderio che oggi più che mai porto nel profondo del mio cuore, al di là delle mie povertà umane, è quello di essere sempre più e sempre meglio un segno vivo e concreto del suo amore per voi perché voi lo amiate e vi abbandoniate sempre più al suo amore. 
E allora vi dico lealmente che non sarei quello che sono interiormente oggi, se il Signore per mezzo vostro e con voi non plasmasse giorno dopo giorno il mio animo, la mia vita spirituale. 
E allora con sincerità estrema e con tutta la forza del mio amore per il Signore e per voi, dico ancora con voi al Signore e a voi tutti: grazie di cuore. Amen.

L'Eucarestia adorata

Dio Padre, avendoci creati a sua immagine e somiglianza, ci vuole un bene immenso ed avendo visto che noi, in Adamo ed Eva, avevamo fatto una scelta sbagliata perché, anziché portarci presso di lui in Paradiso, ci portava all’Inferno, ha mandato qui sulla terra il suo unico figlio Gesù per darci la possibilità di riprendere la strada della salvezza.
Gesù è venuto e, con le sue scelte di vita (nato povero, vissuto più povero e morto poverissimo) e con le sue parole, ci ha ottenuto questa possibilità. Conoscendo la cattiveria degli uomini che lo avrebbero ucciso nel fiore degli anni, ha inventato l’Eucarestia, comandando ai suoi discepoli di continuarla in sua memoria. Quindi, attraverso l’Eucarestia celebrata dal sacerdote, Gesù è sempre e realmente presente in mezzo a noi sotto le specie del pane e del vino, potendo addirittura diventare il nostro nutrimento quotidiano.
Noi però non sempre lo possiamo ricevere, d’altronde siamo sempre in pericolo, 24 ore su 24, ecco allora la necessità della preghiera-adorazione che è sempre possibile.
Il termine “adorazione” deriva dal latino e vuol dire “rendere culto”, perciò l’adorazione è la manifestazione esterna attraverso atteggiamenti, preghiere, riti e gesti, di un sentimento interno di dipendenza e di sottomissione a Dio, quale creatore onnipotente. Per i cristiani l’adorazione significa la fede in un Dio vivo e personale che entra in un rapporto cosciente con l’uomo.
“La grandezza dell’uomo - afferma uno scrittore - sta nell’inginocchiarsi davanti al vero Dio”. Umiltà e stupore adorante sono i due atteggiamenti fondamentali della preghiera-adorazione, espressione e nutrimento della fede.
Con l’umiltà si confessa il proprio niente, con l’adorazione si vive la “sola e vera vocazione dell’uomo: fare del proprio cuore la dimora di Dio” (J. Vanier). La coscienza della santità di Dio fa nascere nel cuore del cristiano l’adorazione che non è fatta di parole, ma di silenzio e di raccoglimento davanti a Dio che si rivela non solo come Dio, ma soprattutto come Padre, come ci ha insegnato Gesù. Quindi il cristiano è invitato ad adorare Dio non per paura della sua Onnipotenza (come nell’Antico Testamento), ma per la sua amorosa paternità. Gesù nel Vangelo ci dice che: “Io ed il Padre siamo una cosa sola”; quindi dobbiamo affermare che il Padre è presente in mezzo a noi in Gesù Eucaristico.
Questo Gesù, capo invisibile della Chiesa, redentore del mondo e centro di tutti i cuori è, tutta la giornata, nel Tabernacolo. Egli ci segue con il suo sguardo irradiante, Egli ci ama, ci chiama, ci attende e ci aspetta come uno che ha messo tutte le sue speranze nella nostra visita ed è impaziente di vederla arrivare! Ci aspetta e, tante volte purtroppo, rimane deluso da una visita in cui ci dimostriamo tiepidi, distratti e preoccupati più di mille cose che ci perdono, piuttosto che di quelle che ci danno la vita eterna!
Vogliamo non deludere Gesù? Vogliamo valorizzare la nostra vita, imparando a comprendere che nell’Eucarestia tutto si contiene: il significato, il dolore e la beatitudine della nostra esistenza?
Lasciamoci attirare da Lui che ha voluto rimanere sempre così vicino a noi! Incontriamolo nell’adorabile presenza eucaristica! Egli ci vuole accanto, almeno per qualche istante della nostra giornata, almeno per liberarci dall’amarezza e dalla tristezza che le pene e le prove della vita lasciano nella nostra anima; Egli ci farà ritrovare il sorriso più vero e sincero.
Tutto questo perché la contemplazione dell’ineffabile dolcezza del “Dio con noi” ti renderà attuale l’esperienza di un commovente amore dell’Eucarestia, la cui presenza nel Tabernacolo è così povera, così semplice, così umile ma così ricca di e vibrante di vita (G.Panzeri: Contemplazione Eucaristica). Inoltre si deve osservare che l’adorazione eucaristica è l’unico atto che l’uomo deve a Dio soltanto, mentre alla Madonna ed ai Santi si deve la venerazione, e l’uomo ne sente il bisogno (vedi i disegni che l’uomo delle caverne faceva sulla roccia). Noi cristiani che abbiamo la fortuna di avere una fede, vediamo in questo la nostalgia che Dio ha messo nella natura dell’uomo, poiché lo ha creato a sua immagine e somiglianza. Ricordiamo a questo proposito la bella espressione di S. Agostino: “Ci hai fatto per te, o Signore, ed il nostro cuore è inquieto finché non riposi in te!”.
C’è, purtroppo, la triste possibilità che l’uomo si lasci ingannare dal Diavolo e, perdendo il senso della presenza di Dio (che non si vede, che non si sente, che non si tocca), indirizzi la sua attenzione solo sulle creature (che si vedono, che si toccano, che si sentono), materializzando Dio, raffigurandolo con idoli.
Perdendo il senso di Dio, si degrada anche il senso della dignità e del valore dell’uomo, si perde il senso del valore della vita, del vero amore e dell’esistenza ed anche del peccato.
In questo modo, si apre la strada ad ogni disordine ed ad ogni aberrazione. Un quadro molto chiaro ed eloquente di questa situazione lo abbiamo sotto gli occhi ogni giorno: si uccide e ci si uccide per motivi non giustificabili, si difende, come segno di civiltà, il matrimonio tra persone dello stesso sesso (matrimoni gay), ignorando che la Chiesa Cattolica li annovera tra i peccati “contro natura” avendo presente il tremendo castigo che Dio ha mandato sulle città di Sodoma e Gomorra (il diluvio al cap. 6 e al cap. 19 del primo libro della Bibbia, la Genesi) e le terribili affermazioni di S. Paolo nella lettera ai Romani (cfr. Rm. 1,18-32). Non c’è da meravigliarsi se l’uomo non adora Dio che lo innalza (Dio s’è fatto come noi, per farci come Lui), ma finisce con l’adorare le creature che lo deprimono e lo schiavizzano.
Dall’adorazione alla fraternità: seguire Cristo, vuol dire condividere l’amore di Gesù per i fratelli, vuol dire: passare dall’adorazione alla fraternità. Se mi dono totalmente al Signore (nell’adorazione), vinco radicalmente il mio egoismo ed allora la mia vita è per gli altri, per tutti, perché è per Dio (Inos Biffi: Il tempo della grazia - Piemme). Dobbiamo vincere la tentazione di separare il mondo dal Creatore, perché l’esistenza del mondo manifesta l’amore di Dio che lo ha creato.
In una preghiera liturgica si dice: “O Dio, nel tuo ineffabile amore hai creato l’universo, donaci di adorarti sempre con tutto il cuore, perché in questo consiste la nostra liberazione dal peccato e, di conseguenza, la nostra vera gioia”.
Possiamo allora concludere, affermando che l’adorazione a Dio non può essere sincera se non si accompagna alla carità, per questo, dopo aver chiesto a Dio la grazia di adorarlo, dobbiamo anche chiedergli quella di amare ogni persona con affetto fraterno. La gioia cristiana è una gioia laboriosa e difficile e si acquista con il coraggio e la carità.
A chi chiedeva a madre Teresa di Calcutta il segreto della sua indefessa attività, rispondeva: “La preghiera e l’adorazione davanti al SS. Sacramento perché quel Gesù adorato in Chiesa, lo incontriamo poi nel povero”.