sabato 26 marzo 2016

Auguri: sia una Pasqua di risurrezione!




Con le parole di papa Francesco, vi formuliamo i nostri auguri in occasione della Santa Pasqua:

“Che grande gioia per me potervi dare questo annuncio: Cristo è risorto! Vorrei che giungesse in ogni casa, in ogni famiglia, specialmente dove c’è più sofferenza, … 
Soprattutto vorrei che giungesse a tutti i cuori, perché è lì che Dio vuole seminare questa Buona Notizia: Gesù è risorto, c’è speranza per te, non sei più sotto il dominio del peccato, del male! Ha vinto l’amore, ha vinto la misericordia! Sempre vince la misericordia di Dio.”

Buona Pasqua!
don Elia, don Roberto, don Marco

Il Vangelo della Domenica - 27 marzo 2016 - Domenica di Pasqua


E' ancora buio e le don­ne si recano al sepol­cro di Gesù, le mani cariche di aromi. Vanno a prendersi cura del corpo di lui, con ciò che hanno, co­me solo le donne sanno. Al buio, seguendo la bussola del cuore. Come il sole, Cristo ha pre­so il proprio slancio nel cuo­re di una notte: quella di Natale - piena di stelle, di an­geli, di canti - e lo riprende in un'altra notte, quella di Pasqua: notte di naufragio, di terribile silenzio, di buio ostile, dove veglia un pugno di uomini e di donne total­mente disorientati.
Notte dell'Incarnazione, in cui il Verbo si fa carne. Not­te della Risurrezione in cui la carne indossa l'eternità, in cui si apre il sepolcro, vuoto e risplendente nel fresco del­l'alba. E nel giardino è pri­mavera. Così respira la fede, da una notte all'altra. Pasqua ci invita a mettere il nostro respiro in sintonia con quell'immenso soffio che unisce incessantemen­te il visibile e l'invisibile, la terra e il cielo, il Verbo e la carne, il presente e l'oltre. Il racconto di Luca è di e­strema sobrietà: entrarono e non trovarono il corpo di Ge­sù. Il primo segno di Pasqua è la tomba vuota. Nella sto­ria umana manca un corpo al bilancio della violenza; i suoi conti sono in perdita. Manca un corpo alla contabilità della morte, il suo bi­lancio è negativo. La storia cambia: il violento non avrà in eterno ragione della sua vittima. Perché cercate tra i morti co­lui che è vivo? Il bellissimo nome che gli danno gli angeli: Colui che è vivo! Io sen­to che qui è la scommessa della mia fede: se Cristo è vi­vo, adesso, qui. Non tanto se vive il suo insegnamento o le sue idee, ma se la sua per­sona, se lui è vivo, mi chia­ma, mi tocca, respira con me, semina gioia, e ama. Non simbolicamente, non apparentemente, non ideal­mente, ma realmente vivo.
Perché Cristo è risorto? Dio l'ha risuscitato perché fosse chiaro che un amore così è più forte della morte, che u­na vita come la sua non può andare perduta. Noi tutti siamo qui sulla ter­ra per fare cose che merita­no di non morire. Tutto ciò che vivremo nell'amore non andrà perduto.

sabato 19 marzo 2016

Il Vangelo della Domenica - 20 marzo 2016 - Domenica delle Palme


Sono i giorni supremi, i giorni del nostro desti­no. «Volete sapere qual­cosa di voi e di me? - dice il Signore -. Vi dò un appunta­mento: un uomo in croce. Volgete lo sguardo a Colui che è posto in alto».
Il giorno prima, giovedì, l'ap­puntamento di Dio è stato un altro: uno che è posto in bas­so. Che cinge un asciugama­no e si china a lavare i piedi ai suoi. Chi è Dio? Il tuo lava­piedi. In ginocchio davanti a me. Le sue mani sui miei pie­di. Davvero, come a Pietro, ci viene da dire: ma Tu sei tutto matto. E Lui a ribadire: sono come lo schiavo che ti aspet­ta, e al tuo ritorno ti lava i pie­di. Il cristianesimo è scanda­lo e follia. E io, nella vita, di fronte al­l'uomo che atteggiamento ho? Quanto somigliante a quello del Salvatore? Sono il servitore del bisogno e della gioia di mio fratello? Sono il lavapiedi dell'uomo? Ve la immaginate una uma­nità dove ognuno corre ai pie­di dell'altro? Dove ognuno si inchina davanti all'uomo, co­me il gesto emozionante del vescovo di Roma che si in­china, al balcone di San Pie­tro, al suo primo apparire, chiedendo preghiera e bene­dizione, dando venerazione e onore a ogni figlio della ter­ra? La croce è l'immagine più pu­ra e più alta che Dio ha dato di se stesso. «Per sapere chi sia Dio devo solo inginoc­chiarmi ai piedi della Croce» (Karl Rahner). Dio è così: è bacio a chi lo tra­disce. Non spezza nessuno, spezza se stesso. Non versa il sangue di nessuno, versa il proprio sangue. Non chiede più sacrifici a me, sacrifica se stesso per me. E noi qui disorientati, che non capiamo. Ma poi lo stupore, e anche l'innamoramento. Do­po duemila anni sentiamo, come le donne, il centurione, il ladro, che nella Croce c'è at­trazione e seduzione, c'è bel­lezza. La suprema bellezza della storia è quella accaduta fuori Gerusalemme, sulla col­lina dove il Figlio di Dio si la­scia inchiodare, povero e nu­do, per morir d'amore. Dove un amore eterno penetra nel tempo come una goccia di fuoco, e divampa.
Fondamento della fede cri­stiana è la cosa più bella del mondo: un atto d'amore to­tale. La croce è domanda sempre aperta, so di non ca­pire. Alla fine però ciò che convince è di una semplicità assoluta: Perché la croce / il sorriso / la pena inumana?/ Credimi / è così semplice / quando si ama. (Jan Twardowski)
Si fece buio su tutta la terra da mezzogiorno fino alle tre. U­na notazione temporale che ha il potere di riempirmi di speranza: perché dice che è fissato un limite alla tenebra, un argine al dolore: tre ore può infierire, ma non andrà oltre, poi il sole ritorna. Così fu in quel giorno, così sarà an­che nei giorni della nostra an­goscia.
«Ciò che ci fa credere è la cro­ce, ma ciò in cui crediamo è la vittoria della croce, la vit­toria della vita» (Pascal).

Il Vangelo della Domenica - 13 marzo 2016

Una trappola ben congegnata, per porre Gesù o contro Dio o contro l'uomo. Gli scribi e i fa­risei gli condussero una donna... la pose­ro in mezzo. Donna senza nome, che per scribi e farisei non è una persona, è una co­sa, che si prende, si porta, si conduce, si pone di qua o di là, dove a loro va bene. Che si può mettere a morte. Una donna ferita nella per­sona, nella sua dignità, nella sua gran­dezza e inviolabilità. Gesù si chinò e scriveva col dito per ter­ra... Davanti a quella donna Gesù chi­na gli occhi a terra, come preso da un pudore santo davanti al mistero di lei. Gli fa male vederlo calpestato in quel modo. «Chi di voi è senza peccato getti per pri­mo la pietra contro di lei». Gesù butta al­l'aria tutto il vecchio ordinamento con una battuta sola, con parole taglienti e così vere che nessuno può ribattere. Nessuno ti ha condannata? Neanch'io ti condanno. Ecco la giustizia di Dio: non quella degli uomini ma quella di Ge­sù, il giusto che giustifica, il santo che rende giusti, venuto a portare non la resa dei conti ma una rivoluzione ra­dicale dei rapporti tra Dio e uomo, e di conseguenza tra uomo e uomo. A raccontare di una mano, di un cuore amorevole che ci prende in braccio e, per la prima volta, ci ama per quello che siamo, perdonando ogni errore, sciogliendo ogni ferita, ogni dolore. Più avanti compirà qualcosa di ancor più radicale: metterà se stesso al posto di quella donna, al posto di tutti i con­dannati, di tutti i colpevoli, e si lascerà uccidere da quel potere ritenuto di o­rigine divina, spezzando così la cate­na malefica là dove essa ha origine, in una terribile, terribilmente sbagliata i­dea di Dio. Va e d'ora in poi non peccare più: ciò che sta dietro non importa, importa il be­ne possibile domani. Tante persone vi­vono come in un ergastolo interiore. Schiacciate da sensi di colpa, da erro­ri passati … Gesù apre le porte delle nostre prigioni, smonta i pati­boli su cui spesso trasciniamo noi stes­si e gli altri. Sa bene che solo uomini e donne liberati e perdonati possono dare ai fratelli libertà e perdono.Va', muoviti da qui, vai verso il nuovo, e porta lo stesso amore, lo stesso per­dono, a chiunque incontri. Il perdono è il solo dono che non ci farà più vit­time e non farà più vittime, né fuori né dentro noi.

domenica 6 marzo 2016

Il Vangelo della Domenica - 6 marzo 2016



Un padre aveva due fi­gli. Se ne va, un gior­no, il più giovane, in cerca di se stesso, in cerca di felicità. Non a mani vuote, però, pretende l'eredità: co­me se il padre fosse già mor­to per lui. Probabilmente non ne ha una grande opi­nione, forse gli appare un debole, forse un avaro, o un vecchio un po' fuori dal mondo. Ma i ribelli in fondo chiedo­no solo di essere amati.Il fratello maggiore intanto continua la sua vita tutta ca­sa e lavoro, però il suo cuo­re è altrove, è assente. Lo ri­vela la contestazione finale al padre: io sempre qui a dir­ti di sì, mai una piccola soddisfazione per me e i miei a­mici. Neanche lui ha una grande opinione di suo pa­dre: un padre padrone, che si può o si deve ubbidire, ma che non si può amare. L'obiettivo di questa para­bola è precisamente quello di farci cambiare l'opinione che nutriamo su Dio. Il primo figlio pensa che la vita sia uno sballo, è un ado­lescente nel cuore. Cerca la felicità nel principio del pia­cere. Ma si risveglia dal suo sogno in mezzo ai porci a ru­bare le ghiande. Il principe ribelle è diventato servo. Allora ritorna in sé, dice il racconto, perché prima era come fuori di sé, viveva di cose esterne. Riflette e deci­de di tornare. Forse perché si accorge di amare il padre? No, perché gli conviene. E si prepara la scusa per essere accolto: avevi ragione tu, so­no stato uno stupido, ho sbagliato... Continua a non capire nulla di suo padre. Un Padre che è il racconto del cuore di Dio: lascia an­dare il figlio anche se sa che si farà male, un figlio che gli augura la morte. Un padre che ama la libertà dei figli, la provoca, la attende, la fe­steggia, la patisce. Un padre che corre incontro al figlio, perché ha fretta di capovolgere il dolore in ab­bracci, di riempire il vuoto del cuore. Per lui perdere un figlio è una perdita infinita. Non ha figli da buttare, Dio. Un padre che non rinfaccia, ma abbraccia; non sa che farsene delle scuse, le nostre ridicole scuse, perché il suo sguardo non vede il peccato del figlio, vede il suo ragaz­zo rovinato dalla fame.
Un Padre che infine esce a pregare il figlio maggiore, al­le prese con l'infelicità che deriva da un cuore non sin­cero, un cuore di servo e non di figlio, e tenta di spiegare e farsi capire, e alla fine non si sa se ci sia riuscito. Un pa­dre che non è giusto, è di più: amore, esclusivamente a­more. Allora Dio è così? Così ec­cessivo, così tanto, così esa­gerato? Sì, il Dio in cui cre­diamo è così. Immensa rive­lazione per cui Gesù darà la sua vita.
Ma non si accontenta di sfa­marlo, vuole una festa con il meglio che c'è in casa, vuo­le reintegrarlo in tutta la sua dignità e autorità di prima: mettetegli l'anello al dito! E non ci sono rimproveri, ri­morsi, rimpianti.