domenica 28 febbraio 2016

La porta è aperta per te!

L’immagine sicuramente più significativa e ricorrente dell’Anno Santo della Misericordia è quella della porta, anche perché il papa ha deciso che ogni diocesi aprisse una “porta santa” nelle proprie Chiese Cattedrali.
E’ una immagine ricca di significati. 
Il primo si riferisce a Cristo; egli stesso, nel vangelo di Giovanni, si definisce come la porta delle pecore; chi passa attraverso questa porta che è Gesù, troverà salvezza.
Attraversare la porta santa nell’Anno Giubilare, allora, significa immettersi in modo più profondo nel mistero di Cristo, radicarsi in Lui, unirsi a Lui, ritornare a Lui.
Un secondo significato è legato al riferimento alla Chiesa e alla comunità ecclesiale: attraversare la porta santa significa entrare, o rientrare “a casa”, ovvero dentro quella famiglia dei credenti che è la Chiesa, riscoprendo il valore di una comunione che trova le sue radici nell’unica fede in Cristo.
Entrare o rientrare nella famiglia dei credenti significa anche per noi riaprire porte che forse abbiamo chiuso e non ancora riaperto, cioè riscoprire e riallacciare relazioni, riagganciare fratelli e sorelle nella fede che forse non conosciamo ma soprattutto, intraprendere cammini di riconciliazione laddove qualcosa si fosse incrinato o ferito, cammini di riconciliazione che possano trovare il loro sbocco naturale nella celebrazione del Sacramento della Misericordia: la Confessione.
L’immagine della porta si riferisce anche al nostro cuore, alla nostra vita interiore, dove Cristo vuole trovare spazio per abitare. Bella e commovente, al proposito, la pagina dell’Apocalisse dove il Cristo afferma: “Ecco, sto alla porta e busso, se qualcuno mi apre entrerò da lui, cenerò con lui ed egli con me.”
Un appello alla nostra libertà, che il Signore non vuole forzare; la sua presenza, però, ci interpella e chiede risposta, chiede apertura della “porta del cuore”.
Di nuovo la porta evoca il significato della comunicazione: entrare, uscire; e poi: dentro, fuori...
Due realtà, due mondi che comunicano tra loro. Penso alla comunità cristiana e alla storia, al mondo, alla gente con le sue storie spesso faticose e fragili, spesso oltre “la soglia” di quella che definiremmo la normalità … ma che cos’è la normalità? 
Porte aperte per te! Mi sembra questo il messaggio che possiamo raccogliere ed offrire attraversando “la porta santa” nell’Anno del Giubileo: porte aperte all’accoglienza, al dialogo, al confronto, all’incontro, alla riconciliazione.
E’ anche l’augurio per la prossima Pasqua.
Pasqua significa “passaggio”: attraversare la porta che è Cristo, aprire la porta del cuore a Cristo e aprire la porta ai fratelli, sarà il modo migliore di celebrare la Risurrezione del Signore.

Il Vangelo della Domenica - 28 febbraio 2016

Racconti di morte, nel Vangelo, e grandi do­mande. Che colpa a­vevano quei diciotto uccisi dalla caduta della torre di Si­loe? È Dio che manda il ter­remoto? Per castigare qual­cuno distrugge una città? Ge­sù prende le difese di Dio e degli uccisi: la mano di Dio non produce morte; l'asse at­torno al quale gira la storia non è il peccato. Chi soffre si chiede: che cosa ho fatto di male per meritarmi questo castigo? Gesù risponde: niente, non hai fatto niente. Dio è amore e l'amore non conosce altro castigo che ca­stigare se stesso. Smettila di pensare che l'esistenza si svolga nell'aula di un tribu­nale, Dio non spreca la sua eternità in condanne, o in vendette. La gente interroga Gesù su fatti di cronaca, ed è chiamata a guardarsi dentro.
Se non vi convertirete, perire­te tutti. Due torri gemelle so­no crollate, un 11 settembre di anni fa, ma vi abbiamo let­to solo un fatto di cronaca, non un richiamo alla con­versione. Se l'uomo non cambia, se non imbocca al­tre strade, se non si converte in costruttore di pace e giu­stizia, questa terra andrà in rovina perché fondata sulla sabbia della violenza e del­l'ingiustizia. Gesù l'ha messo come comando che riassu­me tutto: amatevi, altrimen­ti vi distruggerete tutti. Il Van­gelo è tutto qui. Amatevi, al­trimenti perirete tutti, in vite impaurite e inutili. Nella pa­rabola del fico sterile chi rap­presenta Dio non è il padro­ne esigente, che pretende giustamente dei frutti, ma il contadino paziente e fidu­cioso: «voglio lavorare ancora un anno attorno a questo fico e forse porterà frutto».
Ancora un anno, ancora un giorno, ancora sole, pioggia e lavoro: quest'albero è buo­no, darà frutto! Tu sei buono, darai frutto! Dio, come un contadino, si prende cura co­me nessuno di questa vite, di questo campo seminato, di questo piccolo orto che io so­no, mi lavora, mi pota, sento le sue mani ogni giorno. «Forse, l'anno prossimo por­terà frutto». In questo forse c'è il miracolo della pietà di­vina: una piccola probabilità, uno stoppino fumigante so­no sufficienti a Dio per at­tendere e sperare. Si accon­tenta di un forse, si aggrappa a un fragile forse. Per lui il be­ne possibile domani conta più della sterilità di ieri. Con­vertirsi è credere a questo Dio contadino, simbolo di speranza e serietà, affaticato attorno alla zolla di terra del mio cuore. Salvezza è porta­re frutto, non solo per sé, ma per altri. Come il fico che per essere autentico deve dare frutto, per la fame e la gioia d'altri, così per star bene l'uo­mo deve dare. È la legge del­la vita.

sabato 20 febbraio 2016

Il Vangelo della Domenica - 21 febbraio 2016

Gesù è a una svolta del­la sua missione, ha messo i suoi discepoli davanti allo sconcerto del pri­mo annuncio della passione: il Figlio dell'uomo deve soffri­re molto, essere rifiutato, veni­re ucciso. E i dubbi sono le­gione, è tutto così difficile da capire e da vivere. E allora an­che lui si ferma, vuole veder­ci chiaro, ed è davanti al Padre che va per cogliere il senso profondo di ciò che sta per ac­cadere. Nel contatto con il Padre an­che la nostra realtà si illumi­na, ciò che è nascosto appare in tutta la sua chiarezza ed e­videnza, come il volto di Ge­sù: Mentre pregava il suo vol­to cambiò di aspetto, si trasformò. Pregare trasforma. Pregare ti cambia dentro, tu diventi ciò che contempli, ciò che ascol­ti, ciò che ami... Preghi e ti tra­sformi in Colui che preghi; en­tri in intimità con Dio, che ha un cuore di luce, e ne sei illuminato a tua volta. La pre­ghiera è mettersi in viaggio: destinazione Tabor, un batte­simo di luce e di silenzio; de­stinazione futuro, lampada ai tuoi passi è la Parola e il cuo­re di Dio.

Gesù sale su di un monte. I monti sono come indici pun­tati verso il cielo, verso il mi­stero di Dio, raccontano la vi­ta come una ascensione ver­so più luce e più cielo. Siamo mai saliti sul Tabor, toc­cati dalla gioia, dalla dolcezza di Dio? Vi è mai successo di dire come Pietro: Signore, che bello! Vorrei che questo mo­mento durasse per sempre. Facciamo qui tre tende...? Si trattava di una luce, una bellezza, un amore che can­tavano dentro. E una voce di­ceva: è bello stare su questa terra, che è gravida di luce. È bello essere uomini, dentro u­na umanità che pian piano si libera, cresce, ascende. È bel­lo vivere. Perché tutto ha sen­so, un senso positivo, senso per sempre. Il cristianesimo è proprio la religione della penitenza e della mortificazione, come molti pensano? Il Tabor dice «no». E che fare con le croci? Fissare gli occhi solo su di es­se o all'opposto ignorarle? Dio fa di più: ci regala quel volto che gronda luce, su cui tene­re fissi gli occhi per affronta­re il momento in cui la vita gronda sangue, come Gesù nell'orto degli ulivi. Pietro fa l'esperienza che Dio è bello e lo annuncia. Noi in­vece abbiamo ridotto Dio in miseria, l'abbiamo mostrato pedante, pignolo, a rovistare nel passato e nel peccato.
Restituiamogli il suo volto so­lare: un Dio bello, grembo di fioriture, un Dio da gustare e da godere, come Francesco: «tu sei bellezza, tu sei bellez­za», come Agostino: tardi ti ho amato. Bellezza tanto antica e tanto nuova. Allora credere sarà come bere alle sorgenti della luce.

sabato 13 febbraio 2016

Il Vangelo della Domenica - 14 febbraio 2016

Le tre tentazioni di Gesù sono le tentazioni del­l'uomo di sempre. Ten­tazione significa in realtà fa­re ordine nelle nostre scelte e nelle relazioni di fondo: o­gnuno tentato verso se stes­so: hai fame? Dì che queste pietre diventino pane! Tra­sforma tutto in cose da con­sumare, in denaro. Ognuno tentato verso gli altri: vuoi co­mandare, importi, contare più degli altri? Io so la strada: vénditi! Ognuno tentato ver­so Dio: bùttati dal tetto, tan­to Lui manderà angeli a so­stenerti. Hai dubbi? Dio man­derà segni e visioni a scio­glierli. La prima tentazione: che que­ste pietre diventino pane! Pie­tre o pane? È una piccola al­ternativa, che Gesù apre, spa­lanca: Né di pietre né di solo pane vive l'uomo. Siamo fat­ti per cose più grandi. Il pane è buono ma più buona è la parola di Dio, il pane è vita ma più vita viene dalla bocca di Dio. Il pane è indispensa­bile, eppure contano di più altre cose: le creature, gli af­fetti, le relazioni, l'eterno in noi. Ciò che ci fa vivere è la nostra fame di cielo: L'uomo vive di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. Vive di Vangelo e di creature: dalla sua parola sono venuti la lu­ce, il cosmo e la sua bellezza, il respiro che ci fa vivere. Sei venuto tu, fratello mio, mio amico, amore mio: parola pronunciata da Dio per me.
La seconda tentazione è una sfida aperta a Dio. «Buttati giù, chiedi a Dio un miraco­lo» ciò che sembrerebbe il più alto atto di fede - a occhi chiu­si, con fiducia! - ne è, invece, la caricatura, pura ricerca del proprio vantaggio. È come se Gesù dicesse: tu non cerchi Dio ma i suoi benefici. Non cerchi il Donatore, ma solo i suoi doni. Un Dio a tuo ser­vizio.
Eppure quando invece di an­geli vengono la malattia, un fallimento, la morte, tutti ci domandiamo: Perché Dio non interviene? Dove sono gli angeli che ha promesso? Dio invia angeli, persone buone come angeli, che portano non ciò che io desidero, ben­sì ciò di cui, forse a mia insa­puta, ho davvero bisogno. Nella terza tentazione il dia­volo rilancia: prostrati da­vanti a me, segui le mie stra­de, venditi alla mia logica, e a­vrai tutto. Il diavolo fa un mercato con l'uomo, un mer­cimonio. Esattamente il con­trario di Dio, che non fa mai mercato dei suoi doni. E quanti hanno seguito le stra­de del Nemico dell'umanità, facendo mercato di se stessi, vendendo la loro dignità in cambio di carriera, poltrone o denaro facile, ci fanno ri­flettere: a che serve gonfiarsi di soldi e di poteri, se poi per­di vita, se ci rimetti in uma­nità, se vendi l'anima? Vuoi «possedere» le persone?
Assicuragli pane e potere, di­ce, e ti seguiranno. Ma Gesù non vuole «possedere» nes­suno. Dio non cerca schiavi ossequienti, ma figli che sia­no liberi, generosi e amanti.

sabato 6 febbraio 2016

Il Vangelo della Domenica - 7 febbraio 2016

Quattro pescatori so­no lanciati in un'av­ventura più grande di loro: pescare per la vita. Pescare produce la mor­te dei pesci. Ma per gli uo­mini non è così: pescare si­gnifica «catturare vivi», è il verbo usato nella Bibbia per indicare coloro che in una battaglia sono salvati dalla morte e lasciati in vita. Nella battaglia per la vita l'uomo sarà salvato, protetto dall'a­bisso dove rischia di cadere, portato alla luce.
«Sarai pescatore di uomini»: li raccoglierai da quel fondo dove credono di vivere e non vivono; mostrerai loro che sono fatti per un altro respi­ro, un altro cielo, un'altra vi­ta! Raccoglierai per la vita.
Gesù sale anche sulla mia barca, non importa se è vuo­ta e l'ho tirata in secco, e di­ce anche a me: Vuoi mettere a disposizione la tua barca, la barca della tua vita? c'è u­na missione per te. Quella stessa di Pietro, che è per tut­ti, non solo per preti o suore: se pescare non significa da­re la morte, ma portare a vi­vere meglio, con più respiro e luce, portare a galla la per­sona da quel fondo limac­cioso, triste, senza speranza, in cui vive, allora in questa nostra «epoca delle passioni tristi» un grande lavoro è da compiere. Non noi però, ma lo Spirito di Dio. Sulla tua parola getterò le re­ti. Che cosa spinge Pietro a fidarsi? Non ci sono discorsi sulla barca, ma sguardi: per Gesù guardare una persona e amarla era la stessa cosa. Pietro in quegli occhi ha vi­sto l'amore per lui. Si è sen­tito amato, sente che la sua vita è al sicuro accanto a Ge­sù, crede nella forza dell'a­more che ha visto, e si fida.

E le reti si riempiono. Simo­ne, davanti a questa potenza e mistero, ha paura: allonta­nati da me, perché sono un peccatore. E Gesù ha una rea­zione bellissima: trasporta Simone su di un piano total­mente diverso. Non si inte­ressa dei suoi peccati; ha u­na sovrana indifferenza per il passato di Simone, pronuncia parole che creano fu­turo: Non temere. Tu sarai pe­scatore, donerai vita. […]

Lasciarono tutto e lo seguiro­no. Senza neppure chiedersi dove li condurrà. Sono i «fu­turi di cuore». Vanno dietro a lui e vanno verso l'uomo, quella doppia direzione che sola conduce al cuore della vita.

Il Vangelo della Domenica - 31 gennaio 2016

Gesù ha presentato il suo programma per un mondo senza più disperati, poveri, ciechi, op­pressi, la sua strada per la pienezza dell'umano, e tut­ti nella sinagoga di Nazaret capiscono di aver ascoltato parole nuove, che fanno be­ne, parole di grazia! Ma l'en­tusiasmo passa in fretta, i compaesani hanno già ca­talogato Gesù, non è costui il figlio di Giuseppe? L'hanno chiuso nelle loro categorie, e non si aprono alla sorpresa. Ma la vita si spegne quando muoiono le attese. È ciò che accade nelle famiglie, tra gli sposi, tra genitori e figli, tra amici. L'abitudine spegne il mistero e la sorpresa, e l'al­tro invece di essere una fi­nestra di cielo, una benedi­zione che cammina, è solo il figlio di Giuseppe, o il fale­gname, l'idraulico, il posti­no, la maestra... Dico di co­noscerlo, ma cosa so del mi­stero di quella persona? Per che cosa batte il suo cuore, cosa lo fa soffrire, cosa lo fa felice, per quali persone spe­ra e trema?... E poi, ancora più importan­te, so lasciarmi sfiorare al­meno dal pensiero enorme che quella persona che co­nosco così bene ha in se un pezzetto di Dio, una profe­zia? C'è profezia nel quoti­diano, profezia di casa mia, che come gli abitanti di Na­zaret non riusciamo a vede­re: «Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fal­lo anche qui!». Non ci basta­no belle parole. E Gesù […] dice ai suoi compaesani: voi non cercate Dio, ma solo i suoi vantaggi. Adorano un Dio sbagliato e la loro fede sbagliata genera il più sbagliato degli istinti: un istinto di morte. Vogliono uccidere Gesù, ma lui passa in mezzo a loro si mette in cammino. Un finale a sor­presa. Anche nelle situazio­ni senza uscita, sul ciglio del monte con una folla che ur­la, accade qualcosa di in­congruo, come sempre ne­gli interventi di Dio, un pun­to bianco, un improvviso vuoto, un 'ma': ma egli pas­sando in mezzo a loro si mi­se in cammino. Non fugge, non si nasconde, non si ar­rende, ma passa in mezzo a loro, a portata di quella furia, attraversa la violenza e si ri­mette in cammino dietro al suo ideale. Per una Nazaret che si chiude cento altri vil­laggi gli apriranno le porte.

Perché si può ostacolare la profezia, ma non ucciderla. La sua vitalità è inconteni­bile perché viene da Dio.
Anche la nostra Chiesa e il nostro Paese oggi trabocca­no di mistici, profeti, sogna­tori, coraggiosi. Quello che manca sono gli ascoltatori. Manchiamo noi che non sappiamo vedere l'infinito all'angolo della strada, il mi­stero rannicchiato sulla so­glia della nostra casa.

Il Vangelo della Domenica - 24 gennaio 2016


Un racconto di una modernità unica, do­ve Luca crea una tensione, u­na aspettativa con questo magistrale racconto, che si di­pana come al rallentatore: riavvolse il rotolo, lo riconse­gnò e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. E seguono le prime pa­role ufficiali di Gesù: oggi la parola del profeta si è fatta carne. Gesù si inserisce nel solco dei profeti, li prende e li incarna in sé. E i profeti, da parte lo­ro, lo aiutano a capire se stes­so, chi è davvero, dove è chia­mato ad andare: lo Spirito del Signore mi ha mandato ai po­veri, ai prigionieri, ai ciechi, agli oppressi. Da subito Gesù sgombra tutti i dubbi su ciò che è venuto a fare: è qui per togliere via dall'uomo tutto ciò che ne im­pedisce la fioritura, perché sia chiaro a tutti che cosa è il re­gno di Dio: vita in pienezza, qualcosa che porta gioia, che libera e da luce, che rende la storia un luogo senza più disperati. E si schiera, non è imparzia­le Dio; sta dalla parte degli ul­timi, mai con gli oppressori. Viene come fonte di libere vi­te, e da dove cominciare se non dai prigionieri? Gesù non è venuto per riportare i lon­tani a Dio, ma per portare Dio ai lontani, a uomini e donne senza speranza, per aprirli a tutte le loro immense poten­zialità di vita, di lavoro, di creatività, di relazione, di in­telligenza, di amore.  Il primo sguardo di Gesù non si posa mai sul peccato della persona, il suo primo sguar­do va sempre sulla povertà e sulla fame dell'uomo. Per questo nel Vangelo ricorre più spesso la parola poveri, che non la parola peccatori. Non è moralista il Vangelo, ma creatore di uomini liberi, veg­genti, gioiosi, non più op­pressi. Scriveva padre Van­nucci: «Il cristianesimo non è una morale ma una scon­volgente liberazione». La lie­ta notizia del Vangelo non è l'offerta di una nuova mora­le migliore, più nobile o più benefica delle altre. Buona notizia di Gesù non è neppu­re il perdono dei peccati.

La buona notizia è che Dio mette l'uomo al centro, e di­mentica se stesso per lui, e schiera la sua potenza di li­berazione contro tutte le op­pressioni esterne, contro tut­te le chiusure interne, perché la storia diventi “altra” da quello che è. Un Dio sempre in favore dell'uomo e mai contro l'uomo.
Infatti la parola chiave è “li­berazione”. E senti dentro l'e­splosione di potenzialità pri­ma negate, energia che spin­ge in avanti, che sa di vento, di futuro e di spazi aperti. Nel­la sinagoga di Nazaret è allo­ra l'umanità che si rialza e ri­prende il suo cammino verso il cuore della vita, il cui nome è gioia, libertà e pienezza.