Viene […] il Signore per comunicarci ancora una volta l'urgenza dell'annuncio del regno: «Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!». È il fuoco dell'amore di Dio che brucia anzitutto nel cuore stesso di Gesù e che si intravede almeno un poco nelle parole che rivolge ai discepoli: «E come vorrei che fosse già acceso!». È un desiderio struggente, quasi angosciato: «Come vorrei che fosse già acceso!». L'urgenza evangelica è lasciarsi coinvolgere da questa passione; è lasciarsi bruciare da questo ardente desiderio di Gesù. Quanto sono meschine le nostre passioni! Quanto piene di avarizia le nostre angosce! Oggi, giorno del Signore, veniamo liberati dalle piccole ma resistenti angustie della nostra vita, per ricevere il cuore stesso del Vangelo. Un cuore dolce e sconvolgente, pieno di amore e per questo esigente. Gesù stesso ne spiega il senso: «Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione...». Sono parole che noi difficilmente avremmo posto in bocca a Gesù. Ma il Vangelo è diverso da noi e dal mondo; diverso dalla pace avara del ricco epulone che non vedeva neppure il povero Lazzaro affamato davanti alla sua porta; diverso dalla pace egoista del proprio dovere come il sacerdote e il levita, i quali, pur vedendo l'uomo mezzo morto lungo la strada, passano oltre. La pace vera è tutt'altro che tranquillità avara. Il Signore, solo dopo la risurrezione, solo dopo aver vissuto il dramma della passione che fu tutt'altro che pace e tranquillità, disse ai discepoli: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace». La pace del Signore consiste nel fare la volontà di Dio. La pace è il Vangelo. E il vangelo divide; ha diviso, in certo modo, la stessa vita di Gesù, quando appena ragazzo lasciò la mamma e il papà: «Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» rispose ai genitori che angosciati lo stavano «giustamente» rimproverando. Il vangelo lo divise dalla periferica Nazaret per recarsi nel deserto di Giovanni Battista; lo divise dai discepoli a Cafarnao nel discorso del pane, quando rivolto ai Dodici disse: «Volete andarvene anche voi?»; lo divise da Pietro: «Vattene, lontano da me, satana»; lo divise dagli 'scribi e farisei... Il vangelo lo divise nell'agonia al Getsemani: «Non la mia, ma la tua volontà sia fatta». Gesù insegna per primo che la pace sta nell'ascolto del vangelo e nel metterlo in pratica. Il vangelo è la nostra pace e la nostra felicità.
venerdì 12 agosto 2016
Il Vangelo della Domenica - 7 agosto 2016
La parabola del signore e dei servi è scandita in tre momenti. Tutto prende avvio per l'assenza del signore, che se ne va e affida la casa ai suoi servi. Così Dio ha consegnato a noi il creato, come in principio l'Eden ad Adamo. Ci ha affidato la casa grande che è il mondo, perché ne siamo custodi con tutte le sue creature. E se ne va. Dio, il grande assente, che crea e poi si ritira dalla sua creazione. La sua assenza ci pesa, eppure è la garanzia della nostra libertà. Se Dio fosse qui visibile, inevitabile, incombente, chi si muoverebbe più? Un Dio che si impone sarà anche obbedito, ma non sarà amato da liberi figli.
Secondo momento: nella notte i servi vegliano e attendono il padrone; hanno cinti i fianchi, cioè sono pronti ad accoglierlo, a essere interamente per lui. Hanno le lucerne accese, perché è notte. Anche quando è notte, quando le ombre si mettono in via; quando la fatica è tanta, quando la disperazione fa pressione alla porta del cuore, non mollare, continua a lavorare con amore e attenzione per la tua famiglia, la tua comunità, il tuo Paese, la madre terra. Con quel poco che hai, come puoi, meglio che puoi. Vale molto di più accendere una piccola lampada nella notte che imprecare contro tutto il buio che ci circonda.
Perché poi arriva il terzo momento. E se tornando il padrone li troverà svegli, beati quei servi (si attende così solo se si ama e si desidera, e non si vede l'ora che giunga il momento degli abbracci). In verità vi dico, - quando dice così assicura qualcosa di importante -li farà mettere a tavola e passerà a servirli. È il capovolgimento dell'idea di padrone: il punto commovente, sublime di questo racconto, il momento straordinario, quando accade l'impensabile: il signore si mette a fare il servo! Dio viene e si pone a servizio della mia felicità! Gesù ribadisce due volte, perché si imprima bene, l'atteggiamento sorprendente del signore: e passerà a servirli. È l'immagine clamorosa che solo Gesù ha osato, di Dio nostro servitore, che solo lui ha mostrato cingendo un asciugamano. Questo Dio è il solo che io servirò, tutti i giorni e tutte le notti della mia vita. Il solo che servirò perché è il solo che si è fatto mio servitore.
Il Vangelo della Domenica - 24 luglio 2016
«Signore insegnaci a pregare!». Non tanto: insegnaci delle preghiere, delle formule o dei riti, ma: insegnaci il cuore della preghiera, mostraci come si arrivi davanti a Dio. Nel linguaggio corrente la parola «pregare» indica l'insistere, il convincere qualcuno, il portarlo a cambiare atteggiamento. Per Gesù no, pregare è riattaccarsi di nuovo a Dio, come si attacca la bocca alla fontana. Per Gesù, pregare equivale a creare legami, evocando nomi e volti, primo fra tutti quello del Padre: «quando pregate, dite: Padre». Tutte le preghiere di Gesù riportate dai Vangeli iniziano con lo stesso termine «Padre», la parola migliore con cui stare davanti a Dio, con cuore fanciullo e adulto insieme, quella che contiene più vita di qualsiasi altra. Padre, fonte sorgiva di ogni vita, di ogni bontà, di ogni bellezza, un Dio che non si impone ma che sa di abbracci; un Dio affettuoso, vicino, caldo, cui chiedere, da fratelli, le poche cose indispensabili per ripartire ad ogni alba a caccia di vita. E la prima cosa da chiedere: che il tuo nome sia santificato. Il nome contiene, nel linguaggio biblico, tutta la persona: è come chiedere Dio a Dio, chiedere che Dio ci doni Dio. Perché «Dio non può dare nulla di meno di se stesso», «ma, dandoci se stesso, ci dà tutto!». Venga il tuo regno, nasca la terra nuova come tu la sogni, la nuova architettura del mondo e dei rapporti umani che il Vangelo ha seminato. Dacci il pane nostro quotidiano. Dona a noi tutti ciò che ci fa vivere, il pane e l'amore, entrambi indispensabili per la vita piena, necessari giorno per giorno. E perdona i nostri peccati, togli tutto ciò che invecchia il cuore e lo rinchiude; dona la forza per salpare di nuovo ad ogni alba verso terre intatte. Libera il futuro. E noi, che adesso conosciamo come il perdono potenzia la vita, lo doneremo ai nostri fratelli, e a noi stessi, per tornare leggeri a costruire di nuovo, insieme, la pace. Non abbandonarci alla tentazione. Non ti chiediamo di essere esentati dalla prova, ma di non essere lasciati soli a lottare contro il male, nel giorno del buio. E dalla sfiducia e dalla paura tiraci fuori; e da ogni ferita o caduta rialzaci tu, Samaritano buono delle nostre vite. Insegnaci a pregare, adesso.
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