domenica 20 novembre 2016

Il Vangelo della Domenica - 20 novembre 2016


Sta morendo e lo derido­no tutti, lo prendono in giro: «guardatelo, il re!» Sono scandalizzati i devoti, gli uomini religiosi: ma che Dio è questo che lascia morire il suo eletto? Si scandalizzano i sol­dati, gli uomini forti: se sei il re usa la forza! «Salva, salva, salva te stesso!» per tre volte. C'è forse qualcosa che vale più di aver salva la vita? Sì. Qualcosa vale di più: l'amore vale più della vita. E appare un re giustiziato, ma non vinto; un re con una de­risoria corona di spine che muore ostinatamente aman­do; un re che noi possiamo ri­fiutare, ma che non potrà mai più rifiutare noi. E gli si
accostavano per dargli da bere aceto. Il vino nella Bib­bia è il simbolo dell'amore, l'aceto è il suo contrario, il simbolo dell'odio. Tutti odia­no quell'uomo, lo rigettano. Di che cosa hanno bisogno questi che uccidono e deri­dono e odiano il loro re? Di u­na condanna definitiva, del­la pena di morte? No, hanno bisogno di un supplemento d'amore. E Dio si mette in gio­co, si gioca il tutto per tutto per conquistare l'uomo. C'è un malfattore, uno almeno che intuisce e usa una e­spressione rivelatrice: non ve­di che anche lui è nella stessa nostra pena... Dio nel nostro patire, Dio sulla stessa croce dell'uomo, Dio vicinissimo nella passione di ogni uomo. Che entra nella morte perché là va ogni suo figlio. Perché il primo dovere di chi ama è di essere con l'amato. […] E si preoccupa fino all'ul­timo non di sé ma di chi gli muore accanto. Che gli si ag­grappa: Ricordati di me quan­do sarai nel tuo regno. E Gesù non si ricorda, fa molto di più, lo porta con sé, se lo carica sulle spalle come fa il pastore con la pecora perduta e ritro­vata, per riportarla a casa, nel regno: sarai con me! E mentre la logica della nostra storia sembra avanzare per esclu­sioni, per separazioni, per re­spingimenti alle frontiere, il Regno di Dio avanza per in­clusioni, per abbracci, per ac­coglienza. […] Sarai con me: la salvezza è un regalo, non un merito. E se il primo che entra in paradiso è quest'uomo dalla vita sba­gliata, che però sa aggrappar­si al crocifisso amore, allora le porte del cielo resteranno spalancate per sempre per tutti quelli che riconoscono Gesù come loro compagno d'amore e di pena, qualun­que sia il loro passato: è que­sta la Buona Notizia di Gesù Cristo.

Il Vangelo della Domenica - 13 novembre 2016

Con il suo linguaggio a­pocalittico il brano non racconta la fine del mondo, ma il significato, il mistero del mondo. Vange­lo dell'oggi ma anche del do­mani, del domani che si pre­para nell'oggi. Se lo leggiamo attentamente notiamo che ad ogni descri­zione di dolore, segue un punto di rottura dove tutto cambia, un tornante che apre l'orizzonte, la breccia della speranza: non è la fine, alza­te il capo, la vostra liberazio­ne è vicina. Al di là di profeti ingannato­ri, anche se l'odio sarà do­vunque, ecco quella espres­sione struggente: Ma nem­meno un capello del vostro ca­po andrà perduto; ribadita da Matteo 10,30: i vostri capelli sono tutti contati, non abbia­te paura. Nel caos della storia lo sguardo del Signore è fisso su di me, non giudice che in­combe, ma custode innamo­rato di ogni mio frammento. Il vangelo ci conduce sul cri­nale della storia: da un lato il versante oscuro della violen­za, il cuore di tenebra che di­strugge; dall'altro il versante della tenerezza che salva. In questa lotta contro il male, contro la potenza mortifera e omicida presente nella storia e nella natura, " con la vostra perseveranza salverete la vo­stra vita". La vita - l'umano in noi e negli altri - si salva con la perseveranza. Non nel di­simpegno, nel chiamarsi fuo­ri, ma nel tenace, umile, quo­tidiano lavoro che si prende cura della terra e delle sue fe­rite, degli uomini e delle loro lacrime. Scegliendo sempre l'umano contro il disumano (Turoldo). Perseveranza vuol dire: non mi arrendo; nel mondo sem­brano vincere i più violenti, i più crudeli, ma io non mi ar­rendo.Anche quando tutto il lottare contro il male sembra senza esito, io non mi arren­do. Perché so che il filo rosso della storia è saldo nelle ma­ni di Dio. Perché il mondo quale lo conosciamo, col suo ordine fondato sulla for­za e sulla violenza, già co­mincia a essere rovesciato dalle sue stesse logiche. Il Vangelo si chiude con un'ul­tima riga profezia di speran­za: risollevatevi, alzate il ca­po, la vostra liberazione è vi­cina.In piedi, a testa alta, liberi: co­sì vede i discepoli il vangelo. Sollevate il capo, guardate lontano e oltre, perché la realtà non è solo questo che si vede: viene un Liberatore, un Dio esperto di vita.

sabato 5 novembre 2016

Il Vangelo della Domenica - 30 ottobre 2016

Zaccheo ha un handi­cap (la bassa statura) e un desiderio (vedere Gesù) … Nella vita avanza solo chi agi­sce mosso dal desiderio e non dalla paura. Allora corse avanti e salì su di un albero. Correre, sotto l'ur­genza del richiamo di cose lontane, seguendo il vento del desiderio che gonfia le vele. A­vanti, verso il proprio ogget­to d'amore, verso un Dio che viene non dal passato, ma dal­l'avvenire. Sull'albero, in alto, come per leggere se stesso e tutto ciò che accade da un punto di vista più alto.
Gesù passando alzò lo sguar­do. Lo sguardo di Gesù è il so­lo che non si posa mai per pri­ma cosa sui peccati di una persona, ma sempre sulla sua povertà, su ciò che ancora manca ad una vita piena. La sua parola è la sola che non porta ingiunzioni, ma inter­pella la parte migliore di cia­scuno, che nessun peccato ar­riverà mai a cancellare. Zac­cheo cerca di vedere Gesù e scopre che Gesù cerca di ve­dere lui. Il cercatore si accorge di essere cercato, l'amante scopre di essere amato, ed è subito festa: Zaccheo, scendi, oggi devo fermarmi a casa tua. «Devo» dice Gesù, devo fare casa con te per un intimo bi­sogno: a Dio manca qualco­sa, manca Zaccheo, manca l'ultima pecora, manco io. Se Gesù avesse detto: «Zaccheo, ti conosco bene, se restituisci ciò che hai rubato verrò a ca­sa tua», Zaccheo sarebbe ri­masto sull'albero. Se gli aves­se detto: «Zaccheo scendi e andiamo insieme in sinago­ga», non sarebbe successo nulla. Il pubblicano di Gerico prima incontra, poi si con­verte: incontrare uno come Gesù fa credere nell'uomo; in­contrare un uomo così rende liberi; incontrare questo sguardo che ti rivela a te stes­so fa nascere. Scese in fretta e lo accolse pie­no di gioia. Sono poche paro­le: fretta, accogliere, gioia, ma che dicono sulla conversione più di tanti trattati. Apro la ca­sa del cuore a Dio e la gioia e la vita si rimettono in moto. […] Ora può abbracciare tutta intera la sua vita, difetti e generosità, e coprire il male di bene... Oggi mi fermo a casa tua. […] Ognuno ha una dimora da offrire a Dio. E il passaggio del Signore lascerà un segno inconfondibile: un senso di pie­nezza e poi il superamento di sé, uno sconfinare nella gioia e nella condivisione.

Il Vangelo della Domenica - 16 ottobre 2016

Disse una parabola sulla necessità di pre­gare sempre senza stancarsi mai. Il pericolo che minaccia la preghiera è quello della stanchezza: qualche volta, spesso prega­re stanca, anche Dio può stancare. È la stanchezza di scommettere sempre sul­l'invisibile, del grido che non ha risposta, quella che a­vrebbe potuto fiaccare la ve­dova della parabola, alla quale lei non cede. Gesù ha una predilezione particolare per le donne so­le che rappresentano l'inte­ra categoria biblica dei sen­za difesa, vedove orfani po­veri, i suoi prediletti, che e­gli prende in carico e ne fa il collaudo, il laboratorio di un mondo nuovo. Così di que­sta donna sola: c'era un giu­dice corrotto in una città, u­na vedova si recava ogni gior­no da lui e gli chiedeva: fam­mi giustizia contro il mio av­versario! Che bella figura, forte e dignitosa, che nessu­na sconfitta abbatte, fragile e indomita, maestra di pre­ghiera: ogni giorno bussa a quella porta chiusa. Come lei, anche noi: quante pre­ghiere sono volate via senza portare una risposta! Ma al­lora, Dio esaudisce o no le nostre preghiere? «Dio esau­disce sempre: non le nostre richieste, le sue promesse». E il Vangelo ne trabocca: sono venuto per­ché abbiate la vita in pienez­za, non vi lascerò orfani, sarò con voi tutti i giorni fino al­la fine del tempo, il Padre sa di cosa avete bisogno. Con l'immagine della vedo­va mai arresa Gesù vuole so­stenere la nostra fiducia: Se un giudice, che è in tutto al­l'opposto di Dio, alla fine a­scolta, Dio non farà forse giu­stizia ai suoi eletti che grida­no a lui, prontamente? Li farà a lungo aspettare? Ci perdoni il Signore, ma a vol­te la sensazione è proprio questa, che Dio non rispon­da così prontamente e che ci faccia a lungo aspettare. Ma quel prontamente di Ge­sù non si riferisce a una que­stione temporale, non vuol dire «subito», ma «sicura­mente». Il primo miracolo della preghiera è rinsaldare la fede, farla poggiare sulla prima certezza che la para­bola trasmette: Dio è presen­te nella nostra storia, non siamo abbandonati. Dio in­terviene, ma non come io vorrei, come lui vorrà. Se­conda certezza: un granello di senape di fede, una pic­cola vedova che non si lascia fiaccare, abbattono le mura. La preghiera è un «no» gri­dato al «così vanno le cose». […] La preghiera è il respiro del­la fede. […] È il respiro della vita, co­me per due che si amano, il respiro del loro amore.