mercoledì 18 gennaio 2017

Il Vangelo della Domenica - 15 gennaio 2017

Giovanni, vedendo Gesù venirgli incontro, dice: “Ecco l'agnello di Dio”. Un agnello non può fare paura, non ha nessun potere, è inerme, rappresenta il Dio mite e umile. Ecco l'agnello che toglie il peccato del mondo, che rende più vera la vita di tutti attraverso lo scandalo della mitezza.
Gesù - agnello, identificato con l'animale dei sacrifici, introduce qualcosa che capovolge e rivoluziona il volto di Dio: il Signore non chiede più sacrifici all'uomo, ma sacrifica se stesso; non pretende la tua vita, offre la sua; non spezza nessuno, spezza se stesso; non prende niente, dona tutto. Facciamo attenzione al volto di Dio che ci portiamo nel cuore: è come uno specchio, e guardandolo capiamo qual è il nostro volto. Questo specchio va ripulito ogni giorno, alla luce della vita di Gesù. Perché se ci sbagliamo su Dio, poi ci sbagliamo su tutto, sulla vita e sulla morte, sul bene e sul male, sulla storia e su noi stessi. Ecco l'agnello che toglie il peccato del mondo. Non «i peccati», al plurale, ma «il peccato» al singolare; non i singoli atti sbagliati che continueranno a ferirci, ma una condizione, una struttura profonda della cultura umana, fatta di violenza e di accecamento, una logica distruttiva, di morte. In una parola, il disamore. Che ci minaccia tutti, che è assenza di amore, incapacità di amare bene, chiusure, fratture, vite spente. Gesù, che sapeva amare come nessuno, è il guaritore del disamore. Vuoi vivere davvero? Produci amore. Immettilo nel mondo, fallo scorrere... E diventerai anche tu un guaritore del disamore. Noi, i discepoli, siamo coloro che seguono l'agnello. Se questo seguire lo intendiamo in un'ottica sacrificale, il cristianesimo diventa immolazione, diminuzione, sofferenza. Ma se capiamo che la vera imitazione di Gesù è amare quelli che lui amava, desiderare ciò che lui desiderava, rifiutare ciò che lui rifiutava, toccare quelli che lui toccava e come lui li toccava, con la sua delicatezza, concretezza, amorevolezza, e non avere paura, e non fare paura, e liberare dalla paura, allora sì lo seguiamo davvero, impegnati con lui a togliere via il peccato del mondo, a togliere respiro e terreno al male, ad opporci alla logica sbagliata del mondo, a guarirlo dal disamore che lo intristisce.

Il Vangelo della Domenica - 8 gennaio 2017

Gesù uscì dall'acqua: ed ecco, si aprirono i cieli, e vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba sopra di lui. Lo Spirito e l'acqua sono le più antiche presenze della Bibbia, entrano in scena già dal secondo versetto della Genesi: la terra era informe e deserta, ma «lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque». Il primo movimento della vita nella Bibbia è una danza dello Spirito sulle acque. Come una colomba che cerca il suo nido, che cova la vita che sta per nascere. Da allora sempre lo Spirito e l'acqua sono legati al sorgere della vita. Per questo sono presenti nel Battesimo di Gesù e nel nostro Battesimo: come vita sorgente. Di quale vita si tratta? Lo spiega la Voce dal cielo: Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento. «Figlio» è la prima parola. Ogni figlio vive della vita del padre, non ha in se stesso la propria sorgente, viene da un altro. Quella stessa voce è scesa sul nostro Battesimo e ci ha dichiarati figli, i quali non da carne né da volere d'uomo ma da Dio sono stati generati. Battesimo significa immersione: siamo stati immersi dentro la Sorgente, ma non come due cose separate ed in fondo estranee, come il vestito e il corpo, ma per diventare un'unica cosa, come l'acqua e la Sorgente, come il tralcio e la Vite. Il nostro abitare in Dio dopo che Dio è venuto ad abitare in mezzo a noi, il mio Natale dopo il suo Natale. Amato è la seconda parola. Prima che tu agisca, prima di ogni merito, che tu lo sappia o no, ogni giorno appena ti svegli, il tuo nome per Dio è «amato». Immeritato amore, che precede ogni risposta, lucente pregiudizio di Dio su ogni creatura. Mio compiacimento è la terza parola. Termine raro e prezioso che significa: tu - figlio - mi piaci. C'è dentro una gioia, un'esultanza, una soddisfazione, c'è un Dio che trova piacere a stare con me e mi dice: tu, gioia mia! E mi domando quale gioia posso regalare al Padre, io che l'ho ascoltato e non mi sono mosso, che non l'ho mai raggiunto e già perduto, e qualche volta l'ho perfino tradito. Solo un amore immotivato spiega queste parole. Amore puro: avere un motivo per amare non è amore vero. E un giorno quando arriverò davanti a Dio ed Egli mi guarderà, so che vedrà un pover'uomo, nient'altro che una canna incrinata, il fumo di uno stoppino smorto. Eppure so che ripeterà proprio a me quelle tre parole: Figlio mio, amore mio, gioia mia. Entra nell'abbraccio di tuo padre!

venerdì 6 gennaio 2017

Il Concerto di San Bassiano

Il Vangelo della Domenica - 1 gennaio 2017 - S.S. Maria Madre di Dio

Il Vangelo ci presenta ancora una volta i pastori di Betlemme. Sono di esempio per come iniziare il nuovo anno. […] I Vangeli ci dicono che gli angeli avevano parlato del bambino a quei pastori, ma non è difficile pensare che anche Maria lo abbia fatto quando giunsero alla grotta. Certamente Maria lo presentò loro. E probabilmente senza di lei non avrebbero potuto comprendere quel mistero che stava davanti ai loro occhi. Maria, invece, sapeva chi era quel figlio; infatti, con molta cura "serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore". La Liturgia di questo giorno, con incredibile tenerezza, ci invita a guardare Maria per festeggiarla e venerarla come Madre di Dio. Sono passati sette giorni dal Natale, da quando i nostri occhi si sono posati su questo piccolo bambino e su tutti i piccoli e i deboli di questo mondo. Oggi la Chiesa sente il bisogno di guardare anche la Madre, e farle festa. Ma, è bene sottolinearlo, nel contemplarla non la troviamo sola: Maria ha in braccio Gesù, la Madre ha in braccio il Figlio. I pastori, scrive il Vangelo, appena giunsero a Betlemme "trovarono Maria e Giuseppe e il bambino". È lei che continua a mostrarlo agli umili discepoli di ogni tempo; ed anche a noi. Maria che tiene Gesù sulle sue ginocchia è tra le immagini più familiari e tenere del mistero dell'incarnazione. Nella tradizione della Chiesa d'Oriente è talmente forte il rapporto tra quella Madre e quel Figlio che non si trova mai un'immagine di Maria senza Gesù. Lei, infatti, è tutta di Gesù. Ed in effetti, senza Gesù non c'è Maria. Lei esiste per quel Figlio; e suo compito è generarlo e mostrarlo al mondo. Questa è l'icona di Maria, la Madre di Gesù. Ma è anche l'icona della Chiesa e di ogni credente: abbracciare con affetto il Signore e mostrarlo al mondo. Ebbene, come quei pastori i quali, una volta usciti dalla grotta, se ne tornarono glorificando e lodando Dio, così anche i credenti, con la stessa energia e lo stesso slancio, lasciandosi un anno di vita alle spalle debbono entrare nel nuovo avendo Gesù tra le braccia per amarlo e per mostrarlo al mondo. Quale consolazione sarebbe se qualcuno potesse continuare a scrivere dei cristiani quel che l'evangelista nota per i pastori: "Tutti quelli che udirono, si stupivano delle cose che essi dicevano"!