Istituendo l’Eucarestia nell’ultima cena, Gesù colloca il dono del proprio corpo e del proprio sangue, cioè sé stesso (poiché il corpo, nel linguaggio biblico, vale per persona ed il sangue vale per quanto vi è di più intimo nella persona) nella prospettiva della “nuova Alleanza”.
Alleanza o patto, nella storia biblica, stanno ad indicare quel particolare rapporto tra Dio e l’uomo che, col passare del tempo, si rischiara sempre di più, colorandosi delle tonalità più vive e più tenere che ci è dato di cogliere nei rapporti umani. Dio stesso, parlando agli uomini, va alla ricerca dei termini più affettuosi, delle analogie più persuasive, soprattutto in immagini di amore.
Nel libro del profeta Osea, ad esempio, troviamo queste espressioni: “Quando Israele era fanciullo, io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio... Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore, ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare... “(Osea 11, 1 ss.).
In Isaia troviamo:
“Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai” (Is. 49,15). E, più avanti, troviamo: “... perché il Signore troverà in te la sua delizia e la tua terra avrà uno sposo. Sì, come un giovane sposa una vergine, così ti sposeranno i tuoi figli; come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te.”(Is. 62,5)
Queste immagini tratte da quanto vi è di più vivo ed intimo nei rapporti umani, non sono che semplici analogie, incapaci di esprimere la ben superiore realtà dell’alleanza di Dio con noi. Essa è più di un’amicizia, di un fidanzamento, di un matrimonio! Dio è capace di valicare i confini dei più intimi rapporti umani e di stabilire con noi, suoi figli, rapporti superiori dei matrimoni più riusciti e più felici.
Ebbene, di questa intimità, l’Eucarestia è “segno sacro”. Il fanciullo che si accosta alla prima Comunione può intuire che Gesù ci ama fino a farsi nostro cibo spirituale, rimane però l’insondabile mistero dell’unione dello spirito dell’uomo con lo Spirito di Dio.
“Prendete e mangiate, questo è il mio corpo. Prendete e bevete, questo è il mio sangue” (Mt. 26,26-27): il simbolismo parla chiaro: pane mangiato e vino bevuto, Cristo interiorizzato. Dio, in Gesù, entra nel suo tempio umano (il nostro corpo) già consacrato nel Battesimo, entra nel santuario della sua creatura e si unisce a quanto abbiamo di più intimo: il nostro spirito, di cui il corpo è strumento. Anche il corpo di Gesù è strumento del suo Spirito, lo Spirito Santo che il Figlio ha in comune con il Padre.
Il simbolismo del sangue esprime ancora meglio l’intimità “nel sangue - dicevano gli ebrei -c’è l’anima!” Il dono del sangue di Cristo è un segno evidente del dono di quanto vi è di più intimo in Gesù: la sua anima, il suo Spirito. L’interiorizzazione del segno (pane e vino) viene indicata nell’unione intima nostra con la persona di Gesù e con quanto gli è di più intimo: lo Spirito del Figlio e del Padre. Si avvera cosi l’affermazione di Gesù: “Se uno mi ama (amore unitivo), osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”. (Gv. 14,23)
Il patto di amore tra Dio e noi, trova nella Comunione il compimento perfetto: Dio si unisce alla sua creatura in un modo che è possibile solo a Lui. La comunione eucaristica rinsalda la consacrazione iniziale che abbiamo avuto nel Battesimo ed induce nel nostro essere una estrema esigenza di santità. S. Paolo ce lo ricorda molto bene: “... Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito. State lontani dall’impurità! Qualsiasi peccato l’uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dà all’impurità, pecca contro il proprio corpo. Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi? Lo avete ricevuto da Dio e voi non appartenete a voi stessi. Infatti siete stati comprati a caro prezzo (passione e morte di Gesù!): glorificate dunque Dio nel vostro corpo!” (1a Cor. 6,17-20). (n.b.: quando si parla o si scrive di sessualità, dimenticando queste parole di S. Paolo, si rischia di cadere in un moralismo più o meno lassista destituito dal suo radicale fondamento: la santità dell’anima e del corpo è soprattutto esigenza e frutto della nostra Comunione, del nostro essere uno con Cristo Eucaristia.)
Ma perchè Dio vuole unirsi cosi strettamente a noi?
Risponde la Chiesa nella costituzione dogmatica del Concilio Ecumenico Vaticano 2°: “La partecipazione al corpo ed al sangue di Cristo non fa che trasformarci in Colui che prendiamo”(Lumen Gentium n.26).
Questa trasformazione viene chiamata dalla fede: “mistero pasquale” perchè è resa possibile in forza del “passaggio” (pasqua) di Cristo dalla condizione mortale alla condizione gloriosa di “risorto”.
Questa nostra trasformazione entra nelle promesse legate all’istituzione dell’Eucaristia, infatti Gesù afferma: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, dimora in me ed io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me ed io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me, vivrà per me” (Gv. 6,56).
Ebbene, questo “vivere in Cristo” viene da S. Paolo attribuito alla progressiva trasformazione interiore che dovrebbe essere effettuata dall’Eucaristia: “passare da un modo di sentire umano, agli stessi sentimenti che furono di Gesù”.
Ecco, infatti, le sue parole: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini.” (ai Filippesi 2,5-7).
In forza della vita nuova che ci inserisce in Cristo, come il tralcio alla vite, chi si nutre in modo degno del corpo e del sangue di Cristo, si avvia necessariamente verso l’ultima trasformazione del proprio corpo mortale in un corpo spirituale, lasciandosi guidare dallo spirito di Dio che, dopo aver risuscitato Cristo dai morti, risusciterà anche noi. Anche a questo proposito, S. Paolo è molto chiaro:”...E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti, darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi” (ai Romani 8,11). (Pensieri tratti dal libro: Vittorio De Bernardi S.J. “Per me, vivere è Cristo” - Ed. Lampade Viventi)
Ora si capiscono molto bene quelle parole di Gesù: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo ed il mio sangue è vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me ed io in lui...”. Si comprende anche l’affermazione di S. Paolo: “Vivo io, ma non sono io, perché veramente vive in me Cristo! …”
Se la particola consacrata che riceviamo nella S. Comunione deve produrre questi effetti (vivere la vita di Gesù nei vari momenti e circostanze attuali) allora dobbiamo riconoscere che esige un po’ più di preparazione e di ringraziamento. La scelta che Lui ha fatto (pane e vino) manifesta chiaramente il suo desiderio di essere da noi ricevuto il più spesso possibile, ma non dimentichiamo che Lui è una persona, è un amico, e quindi dobbiamo anche lasciarlo parlare un po’ e noi stare in silenzio per ascoltarlo e, se si ha tempo, dobbiamo fermarci un po’ anche dopo la S. Messa.
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