domenica 24 maggio 2015

I doni dello Spirito Santo - Il Timor di Dio

S. Giovanni Bosco (quest’anno ricorrono i duecento anni dalla sua nascita) diceva: “Il dono del timor di Dio è il rispetto filiale di Dio che ci aiuta a stare lontano dal peccato perché dispiace a Lui, facendoci confidare nel suo potente aiuto”.
La sera del 24 novembre 1864 don Bosco suggerì ai suoi giovani un mezzo per studiare bene il timor di Dio. Diceva loro: “Volete veramente ottenere un buon risultato negli studi? Temete il Signore! Guardatevi bene dall’offenderlo! Un solo peccato mortale arreca al Signore un’offesa così grande che tutti gli Angeli e tutti gli uomini insieme non potrebbero riparare! E Dio dovrebbe aiutare negli studi coloro che gli fanno un insulto così grave!?”.
Il card. Martini afferma: “Il timore di Dio è l’atteggiamento che ci fa vivere abitualmente sotto lo sguardo del Signore, preoccupati di piacere a Lui, piuttosto che agli uomini. Quel Dio che ti guarda continuamente - prosegue il cardinale - è sì il Dio-giudice, ma, come ci ha fatto conoscere Gesù, vuole ora essere considerato come un Padre che ti conosce e che ti ama come nessun altro e che vuole solo e sempre il tuo bene”.
“Il timor di Dio - dice papa Francesco - non è aver paura di Dio, ma ci fa capire che noi siamo come dei bambini fra le braccia di Dio e, quindi, ci stimola alla riconoscenza, alla docilità ed alla lode, ricolmando il nostro cuore di Speranza”.

Frammenti di vita quotidiana
Che vergogna, papà! La rapidità dell’uso del telecomando ti dava una certa sicurezza. Di quel film avevi sentito parlare molto tra i colleghi di lavoro ed avevi persino letto la recensione sul giornale che ne descriveva la volgarità in modo da renderla... desiderabile. Ti sei accertato che la stanchezza, gli impegni con gli amici svuotassero il salone, poi ti sei accomodato curioso a seguire il racconto confuso di improbabili amori. Forse eri troppo incuriosito o troppo stanco per accorgerti accorto dell’apparire imprevisto ed improvviso della tua figlia più grande nel momento meno opportuno....
Neppure tu credi che la tua ironia sulle “stupidità che fanno vedere alla tv” sia stata sufficiente per nascondere il tuo imbarazzo e per dissolvere lo sconcerto e lo scandalo che hai letto sul suo volto di adolescente. Ora quella scena ti ritorna in mente ed ancora arrossisci di vergogna; cerchi di immaginarti che idea si sarà fatta la ragazza di suo padre e non riesci a perdonarti......
Eppure ho ragione io!
Come nasce un litigio? Credo che per un po’ si accumuli il risentimento: c’è stata quella parola offensiva che non hai potuto (o voluto?) digerire, hai creduto di leggere in quello sguardo l’invidia per ciò che sei riuscito a fare, hai interpretato quel modo maldestro di parcheggiare la macchina come un dispetto per esasperarti,.... Ti sei sorpreso a fantasticare sul “modo di fargliela pagare”.
Poi, un brutto giorno, per una sciocchezza che, in altre occasioni, hai facilmente perdonato ad altri, ti sei arrabbiato davvero e hai detto:
“Adesso, basta!” e sono venute fuori parole veramente offensive, è venuto fuori un elenco impressionante di sgarbi, ingiustizie, torti, colpevoli trascuratezze, ... Il risultato è che da allora non sei più riuscito a parlare con il tuo vicino ed ogni incontro, puramente casuale, è stato solo un imbarazzato volgere altrove lo sguardo. A furia di pensarci, ti sei sempre più convinto che tu hai solo ragione, mentre lui ha sempre e solo torto.
Ma... da dove viene quel disagio che non ti lascia mai del tutto tranquillo quando ti accosti all’Eucarestia? Perché sei così complicato nel distinguere tra rancore, risentimento, “non aver niente contro”, per giustificarti di fronte alla pagina del Vangelo che ti dice chiaramente: “Se tu stai per presentare la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che un tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono” (Mt. 5, 23-24).
L’altro giorno il tuo vicino è stato ricoverato all’ospedale, ora, che farai?

Preghiera e riflessione
Invoco con voi e per voi lo Spirito Santo, perché effonda il dono del “Santo timor di Dio”.
1. Abbiamo visto quello che dicono S. Giovanni Bosco, il card. Martini e papa Francesco sul dono dello Spirito Santo: il timor di Dio. Ora applichiamo questo dono ai casi sopra ricordati:
• Il timor di Dio non è la paura che paralizza, ma lo sguardo amico e amorevole del “Padre” che incoraggia e rassicura: “Questa cosa è giusta e tu la puoi fare”. E’ una presenza amica che ti salva dalla confusione che rende desiderabile il male e cerca di giustificarlo: “Se nessuno viene a saperlo, che male c’è?”.
• Il dono del timor di Dio aiuta ad essere onesti per amore del bene, per rispetto verso se stessi, per quella profonda ed intima relazione con il Padre che sta nei cieli e che ci ha resi “Tempio” del suo Santo Spirito”.
Quel padre, scoperto dalla figlia a guardare un film “volgare”, non deve ora restare “paralizzato” dalla vergogna, piuttosto, da qui in avanti, vigili per non sbagliare più, per non cedere più alla tentazione.
Anche se la segretezza è garantita (non si pensa che una figlia possa far conoscere ad altri le eventuali debolezze del padre!) però il padre deve convincersi che continuamente lo sguardo paterno di Dio lo accompagna, amorevole ed incoraggiante per non lasciarsi umiliare dalla volgarità.
2. Il dono del timor di Dio deve rendere possibile affrontare la fatica del bene difficile, nell’intento di ristabilire la pace tra vicini di casa.
Lo so che, prima o poi, troverai le parole adatte per avviare il cammino difficile e faticoso della riconciliazione e, mentre andrai a trovarlo all’ospedale, ti verrà in mente tante volte che, forse, sarebbe meglio lasciar perdere i presunti torti subiti.
Sentirai anche la voce di Dio (la tua coscienza) che t’incoraggerà nel tentativo della riconciliazione.....
Forse sarai accolto male, forse ti verrà data una risposta “sgarbata” che non ti saresti aspettato, forse ti morderai la lingua per non aver avuto la parola giusta al momento giusto, ma, certo, sentirai di aver fatto quanto dovevi e che il risultato è, senz’altro, meno importante della grazia di sentirti in pace con la tua coscienza e, quindi, con il Signore. (C. M. Martini, Lo Spirito Santo in famiglia).
Un proverbio latino dice: “Ab assuetis non fit passio” cioè “Dalle cose che capitano con una certa frequenza non ci si meraviglia più”, ed è un pericolo nel quale possiamo cadere anche noi, soprattutto nei confronti del Signore.
S. Agostino, infatti, diceva: “Timeo Jesum transeuntem” cioè “Temo Gesù che passa” perché, quando Gesù passa vicino a noi (nella S. Comunione, nella preghiera, in un buon esempio visto, in un rimorso di coscienza per qualche sbaglio) ci manda sempre qualche buon suggerimento, qualche utile richiamo ed il Santo temeva di non saperne approfittare e, di conseguenza, di dover rendere conto al Signore per aver sciupato quell’opportunità.
Prima del Concilio Ecumenico Vaticano II si usava tanto la lingua latina in Chiesa (nella S. Messa ed in tanti canti liturgici) quindi, giustamente, la maggior parte dei fedeli non la conosceva e, di conseguenza, non comprendeva il significato, ma ora che si usa la lingua italiana, i fedeli possono e devono comprendere il significato delle parole che sentono e che pronunciano.
Purtroppo il diavolo, soprattutto quando siamo in Chiesa, le inventa tutte per distrarci e noi, con troppa facilità, lo ascoltiamo e, di conseguenza, le belle parole e le promesse che facciamo a Gesù, non ottengono nessun buon risultato, perché non migliorano la nostra condotta di vita.
Allora possono aver ragione quelli che dicono: “Quella persona, pur frequentando la Chiesa, è peggiore degli altri che non vanno in Chiesa!”.
S. Agostino ci avvisa e ci scuote dal nostro torpore: “Guardate che dovrete rendere conto al Signore di tutte queste opportunità che abbiamo sciupato per la nostra indifferenza”. Il dono dello Spirito Santo del “Timor di Dio” vorrebbe sempre darci una mano, soprattutto quando siamo in Chiesa, ma rispetta la nostra libertà di amare di più la distrazione del raccoglimento, il parlare col vicino più che con il Signore, col doppio risultato negativo: non preghiamo noi e disturbiamo anche chi vuol pregare, dandogli cattivo esempio.

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