Dopo un periodo abbastanza lungo di preparazione alla S. Pasqua, inteso come un tempo di ascolto più frequente della Parola di Dio, di più intensa preghiera e di più generosi sacrifici per favorire ed immedesimarci maggiormente nel Risorto, si arriva al Triduo Pasquale che inizia con la celebrazione solenne della S. Messa “in Coena Domini” (nella Cena del Signore) la sera del Giovedì Santo.
Mentre Gesù si avvìa alla donazione della sua vita in sacrificio espiatorio per la nostra salvezza, istituisce l’Eucaristìa che è simbolo e sorgente di carità ed istituisce anche il sacerdozio con le parole: “Fate questo in memoria di me!” rivolte agli Apostoli presenti.
Dell’Eucarestia si è già parlato in altre occasioni; penso sia più opportuno dire qualche cosa sul Sacerdozio, dato anche il momento piuttosto critico in cui viviamo (estrema confusione...).
“Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo, se, invece, muore, produce molto frutto!” dice Gesù nel Vangelo. Ebbene, Gesù è morto e, dalla sua morte, è iniziato l’aumento dei suoi seguaci: dagli Apostoli sono venuti i Diaconi, i Presbiteri (Preti) ed i fedeli laici.
Agli Apostoli sono succeduti i Vescovi, i Diaconi sono stati “riesumati” dal Concilio Ecumenico Vaticano II che ha specificato il Sacerdozio ministeriale (quello dei preti) ed il Sacerdozio comune dei fedeli, coinvolgendoli maggiormente ed attivamente nel campo pastorale.
Ma, chi è il prete? E’ il rappresentante del Vescovo nelle varie comunità parrocchiali perché ha ricevuto il Sacramento dell’Ordine che lo abilita a celebrare, in nome di Gesù, la S. Messa ed a perdonare i peccati dei penitenti. E’, quindi, la persona più a contatto dei fedeli ed è quella che dà la possibilità alla Chiesa di adempiere la sua missione espressa da Gesù con quel comando: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura” (cfr. Marco 16, 15), e l’altro: “Fate questo in memoria di me!”, cioè il comando di evangelizzare tutte le genti e di rinnovare il sacrificio del suo corpo dato e del suo sangue versato per la vita del mondo.
La missione del prete, quindi, è quella di prolungare nel tempo la missione di Gesù; ecco perché, ricordo, già dai primi anni di Seminario, cercavano di inculcarci l’idea che il Sacerdote è “lo stesso Cristo” per convincerci che se volevamo diventare preti, dovevamo abituarci ad avere sempre davanti un solo ed unico modello: Gesù! e, di conseguenza, sforzarci per vivere come vivrebbe Gesù se fosse al nostro posto.
Il fatto che il prete è sempre a contatto con la gente rende facile il pericolo che si lasci trascinare dall’andazzo del tempo e perda di vista il suo Modello (Gesù), assumendo un po’ alla volta un tenore di vita più conforme alla società in cui vive, perdendo il significato profetico della sua vita.
Per questo la Chiesa si è sempre preoccupata della formazione dei preti e della fedeltà alla loro scelta; basterebbe ricordare gli ultimi due Pontefici: Giovanni Paolo II con l’esortazione apostolica: “Pastores dabo vobis” (darò a voi dei pastori) del Giovedì Santo del 1992 e Benedetto XVI che ha indetto addirittura l’Anno Sacerdotale, esprimendo l’auspicio che “Tale anno vuole contribuire a promuovere l’impegno d’interiore rinnovamento di tutti i sacerdoti per una loro più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo d’oggi” (lettera pontificia del 18/06/09), proponendo come esempio il S. Curato d’Ars.
In un libro-intervista che il giornalista Vittorio Messori ha scritto nel 1986, intervistando l’allora Cardinale Joseph Ratzinger che era prefetto della Sacra Congregazione per la Dottrina della fede, già da allora il futuro Papa sottolineava che la Chiesa ha bisogno di preti santi e non di preti-manager. La condizione stessa del prete - continua Ratzinger - è singolare perché estranea alla società d’oggi e sembra incomprensibile una funzione esercitata sulla gente, ma che non si basa sul consenso della “maggioranza”, ma sulla rappresentanza di un “Altro” che partecipa ad un uomo la sua autorità.
Oggi si esercita sul sacerdote una pressione culturale perché passi da un ruolo “sacrale” ad un ruolo “sociale” in linea con i meccanismi democratici di “consenso dal basso”.... (cfr. “Rapporto sulla fede - Vittorio Messori a colloquio con Joseph Ratzinger - ed. Paoline).
Certamente se il prete fosse capace di essere un po’ più riflessivo ed attento al significato delle parole che pronuncia quando celebra la S. Messa e quando recita i vari Salmi nella liturgia delle Ore e quando amministra i vari Sacramenti, troverebbe motivi sufficienti per mantenere un modo di vivere veramente “da prete”, diventando un salutare richiamo per tutti i fedeli.
Permettetemi di concludere questo scritto con una “Lettera aperta ai Sacerdoti” scritta dallo scienziato Enrico Medi, morto nel 1974 e del quale è in corso la causa di beatificazione. Innanzitutto esorta i sacerdoti a sostare più tempo ai piedi dell’Altare, a interessarsi alle cose dello spirito, a lasciare ai laici le tante incombenze da cui vengono distratti inutilmente. Celebra i divini Misteri con fede e con disagio: mai, infatti se ne ritiene degno. Davanti a lui, peccatore tra i peccatori, i fedeli s’inginocchiano e implorano il perdono… di tutti si sente il servitore… “Mi sono sempre chiesto – continua - come fate a vivere dopo aver celebrato la S. Messa. Ogni giorno avete Dio fra le mani.... !”.
Don Maurizio Patriciello che riporta l’articolo su “Avvenire”, continua con alcune sue considerazioni: “... Quante volte, giunto a sera, contemplo incredulo le mie mani. Chissà che ne sarebbe stato se Gesù non le avesse fatte sue. Le mie mani, la mia voce, la mia vita, capaci di costringere il Figlio di Dio a diventare Pane, Pane da mangiare, Pane da adorare. Pane nella Chiesa per ricordarci che tutti siamo figli di Dio, tutti siamo poveri, tutti siamo peccatori. Dio ci ama, solo chi ama veramente può capire.”
Siete grandi - continua il professor Medi - siete le creature più potenti, comandate addirittura a Dio! Sacerdoti, vi scongiuriamo: siate santi! Se siete santi voi, noi siamo salvi. Se non siete santi voi, noi siamo perduti! Troppa grazia è stata riversata nel cuore di un povero uomo (nel prete) per poterla contenere... I preti, confusi e riconoscenti, abbassano umilmente il capo e supplicano: aiutateci e sosteneteci nella nostra e vostra vocazione! Usateci misericordia quando, senza volerlo, non apprezziamo appieno il dono ricevuto. La nostra è solo incapacità.
Permettere a Dio di riflettere la luce sfolgorante, in cui è sempre avvolto, in un opaco frammento di terra cotta (che sono i preti) non è facile.
Se lasciamo che Gesù occupi il trono della nostra vita e saremo uniti (preti, laici e religiosi) con la disponibilità nell’aiutarci a portare e sopportare il peso, le gioie e le speranze della vita, allora ci salveremo tutti. Ed è quello che Dio, più di ogni altra cosa, vuole e desidera e dovrebbe essere anche il desiderio di ciascuno di noi. Dopo queste considerazioni, penso che ogni cristiano, se ama veramente la Chiesa, deve sentire il dovere di pregare per i Sacerdoti perché possano veramente immedesimarsi in Gesù e, con Lui, cooperare efficacemente alla salvezza del mondo, preoccupandosi maggiormente della salvezza delle anime, più che di quella dei corpi, come, del resto, ci ha insegnato ed ha fatto Gesù.
Si otterrà minor plauso dalla gente, ma più approvazione ed aiuto da Gesù che deve continuamente essere visto come il nostro unico modello anche ai nostri giorni.