Troviamo nel libro degli “Atti degli Apostoli” una frase attribuita a Gesù che, però, non troviamo in nessuno dei quattro vangeli, ma che è sicuramente di Gesù, perché anche questo libro è stato scritto da un evangelista: S. Luca.
La frase dice così: “E’ meglio dare che ricevere!” e questa frase ci aiuta a capire il perché Dio ha creato l’uomo, chiedendo l’aiuto ad un grande teologo e pensatore che è S. Tommaso d’Aquino. Ebbene, questo Santo, nelle sue riflessioni, ci ricorda che “il bene è di sua natura, diffusivo di sé”, cioè, il bene sente il desiderio di comunicarsi agli altri per renderli partecipi. Quindi Dio, Bene Sommo, ha pensato di dare la vita ad una creatura, cioè all’uomo, per renderlo partecipe della sua bontà e della sua gioia e l’ha fatto, addirittura, a sua immagine e somiglianza, per cui, quando l’uomo compie qualche opera buona senza aspettarsi un tornaconto materiale, fà vedere la sua somiglianza con Dio perché dà, senza ricevere, aspettando la ricompensa solo da Dio. Vissuta in questo modo, la vita dell’uomo sulla terra dovrebbe essere piuttosto facile e abbastanza comoda, invece, si constata, non è così: è quindi necessaria una riflessione.
E’ vero che Dio ci ha creati per renderci partecipi del suo bene e della sua gioia, dandoci la libertà di scegliere il bene perché noi potessimo dire: “Se sono in Paradiso è perché, liberamente, ho scelto il bene!”.
Purtroppo il nemico di Dio (il diavolo) ci ha ingannato (in Adamo), facendoci scegliere anche il male per cui possiamo dire che noi siamo nati per il Paradiso e Dio, conoscendo le difficoltà e le tentazioni che incontriamo, perché abbiamo una natura indebolita dal peccato originale, ci ha mandato il suo unico Figlio per aiutarci a salvarci: Gesù.
Gesù ci ha salvato, non costringendoci, ma mettendoci davanti l’esempio della sua vita ed il richiamo del suo Vangelo, perché vuole rispettare la nostra libertà. Da quì viene la necessità da parte nostra di conoscere sempre meglio Gesù per seguirne gli esempi che ci ha dato e gli insegnamenti che ci ha lasciato nel Vangelo.
L’esempio che Gesù ci ha dato nella sua vita lo conosciamo molto bene: è nato povero (in una stalla), ha scelto una vita povera (le volpi hanno le loro tane, gli uccelli i loro nidi dove porre i loro piccoli, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo), ha scelto di morire poverissimo (sulla Croce coperto solo da uno straccio). Quindi Gesù ha scelto la povertà su questa terra!
Anche i suoi insegnamenti li conosciamo dal Vangelo (le Beatitudini ed il comando di amare Dio sopra ogni cosa ed il prossimo come noi stessi...).
Con la fedeltà a queste scelte così radicali, Gesù ha raggiunto il fine della sua vita, infatti, dopo la sua tremenda e cruenta passione e morte e dopo diverse apparizioni da risorto, il Padre lo ha chiamato in Cielo, facendogli occupare il posto più eccelso e prestigioso (alla sua destra, come recitiamo nel Credo).
Questo, come vedremo più avanti, dovrebbe essere anche il nostro destino.
Forse qualcuno, specialmente tra i giovani e gli adulti (che possono aver davanti, salvo imprevisti, un cospicuo lasso di tempo) potrebbe pensare: “Ma questo mondo ci offre di continuo tante cose meravigliose che ci attraggono e ci soddisfano subito, non sarebbe meglio fermarsi a queste cose?”
E’ un ragionamento che dimentica una cosa molto importante: noi siamo qui di passaggio; la nostra anima (la parte più importante dell’uomo) è immortale e le cose di questo mondo sono passeggere.
Quando si è arrivati ad una certa età (anziani-vecchi) si è già sperimentato quello che il mondo può dare, perché ce lo ha già dato, ma comprendiamo che in noi c’è l’esigenza di qualche cosa di più e he non viene soddisfatto neppure con le scoperte tecnologiche più avveniristiche che, anche se ci lasciano a bocca aperta, si rimane del tutto indifferenti ed insoddisfatti.
Ci viene allora in aiuto quel grande pensatore e Vescovo: S. Agostino. Da giovane le ha provate veramente tutte, ma, alla fine, sentendosi insoddisfatto, ha dovuto arrendersi, esclamando: “Ci hai fatto per te, o Signore, ed il nostro cuore è inquieto finché non riposi in te!”
Tutte queste considerazioni per arrivare al punto: Gesù che sale al cielo è una verità che necessariamente deve interessare tutti noi perché dà una motivazione valida a tutta la nostra vita, al fine che dobbiamo cercare di raggiungere e a tutte le prove anche dolorose che dobbiamo, con il necessario aiuto del Signore da noi continuamente chiesto, superare e vincere.
S. Francesco d’Assisi, davanti ad ogni prova dolorosa, ripeteva: “Tanto è il bene che mi aspetto che ogni pena mi è diletto!”.
L’ascesa di Gesù al cielo non era un imprevisto per gli Apostoli, perché Gesù stesso l’aveva predetto:”... Uscito dal Padre, sono venuto nel mondo, ora lascio il mondo e torno al Padre (cfr. Gv. 16,28), nello stesso tempo non erano tristi, perché ricordavano la promessa di Gesù: “Io sarò con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”.
Nell’Eucaristìa, infatti, Gesù è fisicamente presente, anche se i nostri occhi non lo vedono e le nostre orecchie non lo sentono. Permettetemi di ricordarvi una meditazione del Cardinal Martini:
“Con l’Ascensione al cielo, Gesù, nella sua natura umana, e in lui, quindi, ciascuno di noi, è posto definitivamente accanto a Dio. Gesù mediatore tra Dio e gli uomini, giudice del mondo e Signore dell’universo, non ci ha abbandonati nella povertà della nostra condizione umana: ci ha preceduti nella dimora eterna per darci la sicura speranza che dove è lui, capo e primogenito, saremo anche noi, sue membra.
L’Ascensione ci fa pensare al futuro della nostra speranza, ci fa guardare verso l’alto, come i discepoli. E qui nasce una domanda: Questo guardare verso l’alto non ci potrebbe, forse, distrarre dal nostro impegno quotidiano, non c’è, forse, una punta di rimprovero nelle parole degli angeli agli Apostoli: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?”
La risposta a questo interrogativo ci viene dalla stessa Scrittura: “Questo Gesù che è stato assunto al Cielo e tornerà un giorno”.
Riflettiamo - continua il Cardinale - quel Gesù che ha vissuto in mezzo a noi, uomo come noi, ha sofferto per le incomprensioni e goduto per l’ascolto della sua parola, quell’uomo Gesù che è stato ucciso dai suoi nemici e che Dio - Padre ha risuscitato; quel Gesù che, essendo Figlio di Dio, ha voluto vivere una esperienza di vita simile alla nostra, dalla nascita alla morte. E’ veramente uno di noi e con la sua presenza in cielo ci ricorda che anche la nostra vita, il nostro desiderio è stato portato presso Dio.
Oramai nella sua umanità, Gesù vive in quella realtà piena, senza inganni che è presso Dio, nell’ineffabile e definitivo mistero di Dio che domina da sempre tutta la storia, che è l’aspirazione di ogni cuore umano perché in esso soltanto trovano soluzioni i problemi e gli interrogativi più profondi che si agitano dentro di noi!
Anche come uomo, Gesù è là in quella luce, in quella realtà perfetta che è il Regno definitivo, la Gerusalemme celeste, la città di Dio, il luogo della pace e della giustizia perfetta, il luogo dove tutto è chiaro, libero e gioioso”. (Cfr. Carlo Maria Martini - Sulle strade del Signore - Meditazioni per ogni giorno – Ed. Piemme-Ancora).
Ebbene, in questo luogo così bello ed attraente, Gesù ha preparato un posto anche per ciascuno di noi, sta ora a noi vivere in modo da poterlo, un giorno, occupare, quando il Buon Dio ci inviterà a lasciare questa terra.
Anche la Chiesa ci aiuta a ricordarlo: ogni volta che partecipiamo alla S. Messa, quando il sacerdote dice: “Mistero della fede” e noi rispondiamo: “Annunziamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta.”